Z aka Bernard Szajner

Visions Of Dune

2014 (InFiné)
synth music
7.5

La Francia elettronica a cavallo fra Settanta e Ottanta è, per tutti, la Francia di Jean Michel Jarre. Nel pensiero comune, uno dei casi più emblematici di artista in grado di folgorare al debutto per poi perdersi nella riproposizione, a tratti stanca e autocelebrativa e ad altri in forma di malriuscita reinvenzione, di se stesso. Un'interpretazione per lo meno opinabile e a parer di chi scrive indubbiamente superficiale, ma che ha contribuito malgrado tutto a consolidare la fama di caposaldo che “Oxygène” si è costruito di decade in decade. Perché, e su questo non ci piove, il grande merito di Jarre e di quel capolavoro fu quello di spalancare al grande pubblico le porte di un fenomeno costituitosi in maniera progressiva sui pilastri della post-kosmische tedesca, delle sperimentazioni con Moog e sequencer e dell'estetica sci-fi: la synth music.

Oggigiorno siamo pervasi di scorie di quei suoni praticamente ovunque, anche se in pochi se ne accorgono, senza voler contare quella scena musicale (nata negli States ma ormai sempre più difficile da circoscrivere) che coniuga il suo verbo ambient servendosi quasi esclusivamente di quell'eredità. Non stupisce dunque che un'etichetta raffinata e ricercata come InFiné, che non ha mai disdegnato uno sguardo alle tendenze del contemporaneo, abbia deciso di rispolverare questo piccolo gioiello dimenticato da molti e firmato da un altro francese mai abbastanza celebrato: Bernard Szajner, per tutti o quasi Zed, autore tutto fuorché prolifico con una discografia all'attivo costituita da meno di una decina di titoli, attivo come ricercatore e sperimentatore in ambito multimediale e performativo negli anni successivi e più noto come l'inventore della mitica arpa laser (che lo stesso Jarre avrebbe trasformato in uno dei suoi strumenti più emblematici).

Per capire il retroterra culturale di “Visions Of Dune” è sufficiente collegare immediatamente il titolo al capolavoro di Frank Herbert, forse la pietra miliare per eccellenza a livello cinematografico dell'estetica sci-fi, insieme a "Star Trek". Due visioni, appunto, raccontate in brevi frammenti che in piena tradizione synth sfumano l'uno nell'altro in soluzione di continuità. Visioni rese attraverso un cameo di strumenti e suoni che potrebbe da solo essere scelto come emblema dell'intero movimento: il Matri e il DigiSequencer, i due modelli-capolavoro della EMS (VCS3 e SYNTHI AKS i cui suoni non possono non essere familiari anche ai meno avvezzi all'elettronica), quegli indimenticabili modulari a firma Moog su cui Klaus Schulze ha costruito i live più memorabili della sua carriera, il mellotron con i suoi tappeti di archi e il leggendario Farfisa, leggasi l'Hammond per i meno agiati.

Il tutto per dare forma a visionari squarci su quel futuro tecnocratico e universale ipotizzato all'epoca, che prende le forme dalla nebbia cosmica di “Dune” - in cui sembra davvero di stare ascoltando gli Emeralds più cupi vent'anni prima, o di avere di fronte un embrione del "Blade Runner" di Vangelis - per concretizzarsi nello splendido acquerello jarriano di “Bene Gesserit”, con gli arpeggiatori lanciati in inediti vortici di dolcezza nel regalare un affresco della mitica sorellanza. Nel mezzo, una serie di brevissime (alcune addirittura sotto il minuto) odissee spaziali, istantanee regalate anche solo al semplice decollo di un'astronave (“Bashar”) o alla rapida inquadratura di un particolare personaggio (“Thufir Hawat”).

Ci sono poi i passaggi di congiunzione con i maestri del GRM – imprescindibili per un francese – come nel districarsi fra la sabbia del famoso verbe (“Shai Hulud”) e nella monolite cacofonico dedicato a Kwizatz Haderach, e una manciata di esperimenti più propensi al pop, come la danza per drum machine e sequencer di “Adab” e il motivetto kraftwerkiano con tanto di vocoder di “Ibad”.
La chiusura del cerchio pre-moderno è però rappresentata al meglio da “Fremen”, un bagno nell'acido che venisse per scherzo o errore accreditato ad Aphex Twin risulterebbe ben più che credibile. Non manca lo spazio anche per due inediti oscuri e inquieti, due escursioni in zone buie dell'universo che poco aggiungono a un autentico glossario della synth music.

03/10/2014

Tracklist

First Vision

  1. Dune
  2. Bashar
  3. Thufir Hawat
  4. Sardaukar
  5. Bene Gesserit
  6. Shai Hulud
  7. Duke (previously unreleased)

Second Vision

  1. Fremen
  2. Harkonnen
  3. Adab
  4. Gom Jabbar
  5. Ibad
  6. Kwizatz Haderach
  7. Spice (previously unreleased)

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