A Place To Bury Strangers

Transfixiation

2015 (Dead Oceans)
shoegaze, noise, wave

Giunti al quarto lavoro sulla lunga distanza, a tre anni dal precedente “Worship”, gli A Place To Bury Strangers suonano ormai come un gruppo consolidato, ben centrato sul genere musicale che intendono rappresentare: un noise a forti tinte wave, suonato guardandosi fissi la punta delle scarpe.
Il clima è ben rappresentato sin dall’iniziale “Supermaster”, dove il basso ossessivo e la batteria minimale spianano la strada alle intromissioni chitarristiche e alla voce sempre più autorevole di Oliver Ackermann.

I diluvi sonori che ne seguono sanno essere ritmicamente pirotecnici (“Straight”, “I’m So Clean”), il cantato talvolta risulta quasi seppellito, confuso da strati di chitarre, come nel caso della breve e intensissima “Love High”, concepita seguendo l’estetica tipica dei My Bloody Valentine.
Deliri di suoni distorti (vedi “Deeper”, uno dei momenti più inesorabilmente cupi del disco) e percussività dal vago sapore tribale (la strumentale “Lower Zone”) vengono puntualmente incendiate da distorsori e delay.

La tendenza è quella di proporsi come profondamente garage (“We’ve Come So Far” e “Fill The Void” potevano tranquillamente far bella figura dentro uno dei primi due Black Rebel Motorcycle Club) e ancor più spesso estremamente post-punk (“Now It’s Over” è Wire sin nel midollo).
I ragazzi dimostrano comunque una grande versatilità, che si estrinseca attraverso una scrittura in grado di viaggiare spedita (“What We Don’t See” potrebbe essere considerata persino orecchiabile), ma anche di stupire con il passo della conclusiva “I Will Die”, esempio di come una canzone possa essere letteralmente corrosa dai suoni.

Non ci sono momenti deboli o furbe strizzatine d’occhio, “Transfixiation” (che registra l’esordio alla batteria di Robi Gonzalez) è un lavoro compatto e sicuro, derivativo ma al tempo stesso assai personale, attraverso il quale il trio newyorkese consolida la propria fama internazionale di portabandiera dello shoegaze-noise contemporaneo.
Meno sperimentale di “Exploding Head”, meno melodico di “Worship”, il nuovo lavoro di Ackermann e soci si impone come una delle massime espressioni dello stato dell’arte nel proprio genere di riferimento. Uno degli album di gran lunga più importanti e riusciti di questo primo scorcio d’anno.

04/02/2015

Tracklist

  1. Supermaster
  2. Straight
  3. Love High
  4. What We Don't See
  5. Deeper
  6. Lower Zone
  7. We've Come So Far
  8. Now It's Over
  9. I'm So Clean
  10. Fill the Void
  11. I Will Die

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