Il percorso di Chelsea Wolfe era ben chiaro ed evidente per chiunque avesse analizzato il crescendo creativo della sua discografia. Le suggestioni goth-rock alla Siouxsie e le evanescenze stile This Mortal Coil erano il tracciato cardiologico sul quale innestare modiche quantità di noise e folk chill-out. Una resurrezione energica e dolorosa che in “Abyss” trova il suo punto fermo.
La spaziosa struttura sonora, nella quale malinconia, poesia, paura, sofferenza e sacrificio lottavano in cerca di una parziale vittoria, si è ora resa malleabile e ruvida, coinvolgendo le pagine più entusiasmanti del post-rock, introducendo anche l’hardcore e l’industrial degli Swans, ed è proprio in questa inattesa virata verso il rumore la chiave di volta del nuovo album di Chelsea Wolfe.
Anche la scrittura è più sicura e matura, le leggere defaillance del pur ottimo “Pain Is Beauty” sono accantonate, in favore di canzoni più complesse e articolate, dove il climax non è più nell’ipnosi da sottofondo, ma è asservita a una forza mesmserica che si approssima al terrore, inchiodando l’ascoltatore alle sue paure più recondite.
E’ un album fisico, urgente, ma oltremodo intimo e oscuro. Un incubo che si materializza diventando sogno, come quando l’avvolgente lirismo di “Maw“ viene disturbato da leggeri schiaffi alla sua gentile melodia di base, o quando la furia acustica di “Crazy Love” viene modulata da note di violino che suonano come un arpeggio alieno.
“Abyss” è anche il primo album in cui il termine stand-out classic si adatta a ben tre o quattro composizioni. L’apertura di “Carrion Flowers” è una delle più entusiasmanti dell’anno, tra feedback di chitarra, pulsioni doom, scampoli di industrial e claustrofobie ritmiche che inneggiano alla discesa dell’animo nelle oscurità degli abissi. Presagi di una sanguinosa e crudele disfatta che “Color Of Blood” rende ancor più struggente prima del definitivo sfascio, con sonorità noise e landscape che duellano senza tregua.
Chelsea Wolfe sacrifica il suo lato tardo-romantico, la sua voce è più aspra e insicura, sembra aver quasi paura di lasciarsi andare alla malinconia nella suadente e sognante “Simple Death”, mentre in “After The Fall” sfibra la melodia graffiandola e sussurrandola, aumentando la forza poetica del brano, smerigliandolo a diamante di rara bellezza.
Cascate di doom-metal si incrociano con cantilenanti trasgressioni vocali (“Iron Moon”), riff plumbei mettono in musica le grida disperate di anime dannate in cerca di redenzione (“Dragged Out”), scampoli dream-pop del passato riaffiorano (“Grey Days”), e la forza antropologica del folk si tinge di blues e soul, riportando la voce al centro della nemesi emotiva (“Survive”), prima che l’abisso cali il sipario con destrutturazioni neoclassiche che hanno il fascino sinistro di un film horror.
“Abyss” è non solo il miglior progetto di Chelsea Wolfe, ma uno dei più corrosivi e creativi album dell’anno. Il suo fascino è non solo avvolgente ma anche tagliente e incandescente, non avrete bisogno di tempo per coglierne la forza, vi trascinerà nel suo vortice fino a prosciugarvi i sogni e l’anima.
Benvenuti all'inferno.
04/09/2015