Con la pubblicazione del doppio album “...And Star Power” si sono aperte le prime crepe nella reputazione degli eroi del pop psichedelico, ovvero i Foxygen. A tentar di sollevare le sorti giunge ora Diane Coffee (vero nome Shaun Fleming) batterista della band americana e già autore di un esordio, “My Friend Fish”, realizzato in sole due settimane con l’ausilio di un i-Phone, una radicalizzazione del lo-fi che viene in parte accantonata per il nuovo progetto “Everybody’s A Good Dog”.
Il dualismo tra archetipi femminili (Diana Ross) e maschili (Mr Coffee è il titolo di una misteriosa canzone di Nathan Pelkey, folksinger citato da Devendra Banhart in un'intervista del 2007) è solo un altro ornamento simbolico per la personalità del musicista, che cita Donovan, David Bowie, Marc Cohn e i Beatles tra le sue influenze, mettendoli in fila alla maniera di Todd Rundgren.
Il trittico di brani iniziale viaggia più dalle parti dei Wings e delle loro indecisioni rock melodiche a volte leggermente kitsch (“Mayflower”), ma tutto l’album scorre come un mix della famosa trasmissione televisiva "Top of the Pops", con cambi apparenti di stile e situazioni sonore che godono della loro mancanza di connessione creativa.
Nulla di nuovo per la famiglia Foxygen e associati: riff in quantità e coretti psych-beat più da groupie che da vera e propria band, ma con una maggior presenza di soul e Motown-style che garantiscono qualche momento di brio (“Down With The Current”), istantaneamente annullato da mediocri copia e incolla intitolati “Tams Up” e “GovT”.
Non basta a risollevare le sorti il singolo di presentazione “Eveyday”, che confonde Smokey Robinson con una boy band senza nemmeno un briciolo di ironia e nonsense. A voler essere autolesionisti, c’è anche il “delizioso” beat di “Duet” con Felicia Douglas, la quale canta con una convinzione e uno charme vicini allo zero, ma il limite estremo è la fuga finto-rock di “I Dig You”, che chiude senza appello qualsiasi possibilità di dare un senso al tutto.
Ovviamente c’è la possibilità che io stia sbagliando e che non riesca a cogliere l’ironia (boh?) e la genialità di questa fiera del citazionismo pop-kitsch e che “Everybod’s A Good Dog” sia solo l’ennesimo capolavoro della famiglia foxygena. Chissà se tra vent’anni un critico a corto di argomenti lo tirerà fuori come esemplare di tesoro nascosto e lo riesumerà come un album cult di quest’anni tribolati e confusi. Io nel frattempo mi sono annoiato a morte per la mancanza d'idee e per l’eccesso di citazioni atte a coprirla, direi che le ragioni per amarlo sono quasi le stesse per cui odiarlo.
18/10/2015