Dodos

Individ

2015 (Polyvinyl)
alt-rock

Non propriamente nuovi a rialzarsi dopo cadute scivolose, e con il morale ancora alto nonostante una storia piuttosto travagliata negli ultimi anni, i Dodos ritornano caparbi e ostinati a calcare i palchi con il supporto del sesto capitolo della loro discografia, seguito di quel “Carrier” da più parti visto come l'inizio di un inesorabile declino. Senz'altro i riscontri di pubblico dei tempi di “Visiter” sono quantomai lontani, un ricordo da serbare con la dovuta cura, è altrettanto vero però che si affrettava a tacciarli come bolliti, precocemente decaduti dal punto di vista artistico, forse a questo giro dovrà deporre l'ascia di guerra, e con molta probabilità ricredersi, anche giusto in piccola misura.

Se la quadratura di scrittura individuata nell'ottimo “No Color” ancora sembra però un miraggio sull'orizzonte, è certo che i contorni di questo fantasma si fanno decisamente più tangibili, concreti, sintomo di una messa a fuoco che sta riportando il duo a ribattere con maggiore convincimento su terreni che in altre occasioni hanno saputo calcare con il necessario carattere. Troviamo i potenti slanci ritmici, l'ampio ventaglio stilistico che abbraccia in un solo colpo reminiscenze folk (qui meno marcate che in passato), geometrie math, tumulti noise e una più piana grana rock, variazioni soft/loud e una generale imprendibilità compositiva.
Vi è tutto l'armamentario che ha lanciato i Dodos e li ha poi consegnati alle amorevoli cure della maturità del quarto album, ma con “Individ” le cose prendono un indirizzo lievemente diverso, indagano possibilità comunicative che rifuggono tanto la weirdness degli inizi (e quello era oramai assodato da tempo) tanto un approccio interamente improntato a una maggiore linearità fruitiva. Il giusto mezzo insomma, capace sia di conciliare un impianto strumentale diventato oramai un vero e proprio marchio di fabbrica, sia di lasciar riaffiorare in parte una vena melodica fin troppo latitante nel precedente disco.  

All'interno della cornice narrativa rappresentata dai due episodi più lunghi e “matematici” del lotto, quelle “Precipitation” e “Pattern/Shadow” concepite quasi a mo' di suite, con interessanti variazioni stilistiche e marcature percussive più calibrate ed equilibrate, è comunque assicurato il posto per frangenti di maggiore levità ritmica, dal respiro più rilassato, che però non rinunciano mai del tutto a incastri compositivi e pregevoli soluzioni armoniche. Sembra di poter richiamare alla memoria alcuni tra i migliori passaggi degli ultimi Fleet Foxes, nel progredire sornione di “Bubble” (impreziosito anche da qualche leggero tocco di elettronica), retaggi folk che “Retriever” approfondisce ulteriormente declinandoli in una struttura più cangiante e sorprendente, ma di fatto sempre attenta alla propria “accessibilità”.
Senza starsene seduti gli allori, e al costo di prendere qualche sbandata lungo il tragitto, i due alzano poi ulteriormente il tiro della proposta cimentandosi in concentrati di pura energia noise-rock (“Goodbyes And Endings”), concepiscono intermezzi di placida contemplazione evocativa (“Bastard”, prima che l'imponenza del brano finale arrivi a chiudere in bellezza il progetto), più in generale strutturano con buona coerenza narrativa un prodotto che in definitiva testimonia tutta la voglia di riscatto, il desiderio di rivalsa di una band troppo presto data per perduta.

Nella speranza di ritrovarli nuovamente padroni di una brillantezza che hanno saputo esibire in passato, per adesso godiamoci un più che discreto ritorno di forma.

31/05/2015

Tracklist

  1. Precipitation
  2. The Tide
  3. Bubble
  4. Competition
  5. Darkness
  6. Goodbyes And Endings
  7. Retriever
  8. Bastard
  9. Pattern / Shadow

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