John Tejada

Signs Under Test

2015 (Kompakt)
techno

Accasatosi ormai in pianta stabile sotto l'accogliente ala protettiva della Kompakt, per la quale firma quest'anno il terzo album di fila, e con una solidità nel formato lungo che teme ben poche chiacchiere, John Tejada, produttore austriaco ma di stanza oramai da anni in California, è tra le più consistenti figure della techno europea, protagonista di un percorso senz'altro personale e avvincente. Uscita dopo uscita, il Nostro ha affiancato alla ricerca compositiva un'investigazione sulle possibilità melodiche del suo campo d'azione, quello di un'elettronica esclusivamente strumentale e finemente cesellata, tanto varia nelle influenze e negli spunti quanto infine tesa alla ricreazione di suadenti tessiture atmosferiche, spesso in rotta di collisione verso la ambient-music vera e propria. In questo senso, “Signs Under Test” non è soltanto la prosecuzione di un cammino avviatosi già nel 2011 con il buon “Parabolas”, ma ne costituisce il più naturale approdo, l'evoluzione ultima in termini di accessibilità fruitiva e fascino espressivo, malgrado lievi limitazioni ne impediscano il definitivo salto di qualità. Anche così, non mancano affatto momenti notevoli e spunti di interesse, anche per chi non è propriamente un habitué del settore.

Melodia, insomma. Succinta e ripetitiva forse (perlomeno a una prima analisi), priva di estroversioni canore che ne consentano una maggiore immediatezza e una conseguente memorizzazione, ma non per questo meno fondamentale, elemento di minor peso nel gioco delle parti a composizione del prodotto finale. Il risultato non sarà particolarmente innovativo o spiazzante, questo è poco ma sicuro, ma in un settore che in tempi recenti ha quasi del tutto sconfessato un simile criterio fruitivo a favore di una sperimentazione che spesso scollina nella pura impenetrabilità, un metodo espressivo come quello di Tejada riesce quantomeno a distinguersi, e perché no, a lasciarsi anche ammirare, fosse anche soltanto a tratti.
Indubbiamente un minimo di diversificazione in più nelle dinamiche e nell'aspetto meramente compositivo non avrebbe guastato (anche qualche semplice variazione aggiuntiva nei colori avrebbe potuto significare molto nel complesso), e talvolta la lunghezza dei brani non pare poi così necessaria. Ciò nonostante il disco gioca bene le carte a sua disposizione, in una fresca conciliazione tra atmosfera e magnetismo ritmico, tra acidità e serpeggiante descrittivismo di stampo ambient, senza disdegnare alcune tra le possibili sfumature intermedie.

Prende così quota la sensibilità sonora a cavallo tra house e Idm di “Meadow”, tra i brani più immediati e dinamici del lotto, in un'operazione di contrasti e confluenze che la vede contrapporsi a mo' di dittico con il battito acido e minimale della precedente “Endorphins”. Analogo è lo svaporarsi delle dicotomie che si ripropongono grossomodo lungo tutta quanta la scaletta: a differenziarsi volta volta è giusto la predilezione per l'elemento più in vista nel brano (il sofisticato impiego dei bassi in “Beacht”, la glacialità del tappeto di tastiere di “Vaalbaara”, che lancia insistenti rimandi ai primi Autechre), per il resto il mood, pensoso ma con intense punte di stampo atmosferico, permea senza grossi scossoni ciascuno dei brani, riportando a uno stesso denominatore comune anche le più “rischiose” tra le variazioni, che a piste da ballo, foss'anche mentali, non rimandano praticamente in alcuna occasione.
Tra distorsioni a effetto sopra beat ossessivi e pattern minimali (“Penumbra”), ed evoluzioni in chiave simil-progressiva che trasformano aperture glitch in fluide piattaforme technoidi (l'intrigante “R.U.R”) finisce per non esserci insomma chissà quale discrepanza. Ed è un peccato, perché la valorizzazione della personalità di ciascuno dei pezzi avrebbe significato molto, nell'economia di un lavoro invero alquanto studiato e in cui nulla è lasciato al caso. L'appiattimento espressivo a cui purtroppo è destinato gran parte del lavoro rende invece difficoltosa l'emersione dei particolari, la visualizzazione di un quadro che avrebbe dalla sua un bel numero di cartucce da sparare.

Poco male, in ogni caso: anche ad assolvere alla semplice funzione di disco d'atmosfera, “Signs Under Test” rimane comunque album di buon livello, ben distante da banalizzanti facilonerie e con una visione artistica forte di un'ottimale coerenza. A questo punto però anche i dettagli finiscono per reclamare il proprio peso: dedicarci il dovuto tempo diventa questione di primaria importanza.

21/04/2015

Tracklist

  1. Two 0 One
  2. Y 0 Why
  3. Beacht
  4. R.U.R
  5. Vaalbara
  6. Cryptochrome
  7. Rubric
  8. Penumbra
  9. Endorphins
  10. Meadow
  11. Heave In Sight

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