Masaya Kato

Trace Of Voices

2015 (Time Released Sound)
electroacoustic ambient
6.5

Illuha, Sawako, Moskitoo, Gutevolk, Miki Yui, e via dicendo così potremmo non finire mai: la sound art ambientale è indubbiamente una delle tendenze-cardine dell'elettronica sperimentale giapponese. E, come in quasi tutte le forme d'arte in cui si sono cimentati, gli artisti del Sol Levante sono stati in grado di dar vita a un'interpretazione peculiare e facilmente riconoscibile del genere, che passa attraverso una pulizia sonora cristallina, un'immancabile sobrietà di fondo, un'attenzione maniacale per la forma e una sorta di autentica ossessione per l'equilibrio estetico. Nel coniare il suo soundworld, il giovane Masaya Kato, ultima scoperta in ordine di tempo della Time Released Sound, rispetta in pieno le caratteristiche fondative della sound art nipponica.

Ma vi aggiunge un elemento in più: i suoni organici, autentici e non simulati, ponendosi così in continuità con le ricerche al pianoforte di quel Ryuichi Sakamoto che ha da tempo cavalcato il carrozzone dell'arte digitale. E se possibile, lavora ulteriormente in direzione sottrattiva, procedendo in una direzione non troppo dissimile da quella dell'ultimo Thomas Köner. “Trace Of Voices”, suo primo autentico album dopo l'audiocassetta “Coagulation” di due anni fa, è dunque un lavoro di scientifica e lucida contemplazione sonora, in cui però – a differenza dell'approccio da sempre promosso dal fuoriclasse tedesco, dove la presenza di un oggetto è sempre stata necessaria – è il suono a osservare, tratteggiare e riconoscere sé stesso.

Una scelta tanto coraggiosa quanto limitante in base ai punti di vista, che si sviluppa non a caso portando in seno un'irrisolvibile contraddizione interna. Il rischio principale, ovvero la monotonia, è abilmente sconfitto attraverso il variare del mezzo espressivo. Laddove soggetto e oggetto coincidono, è infatti quest'ultimo a passare in climax dalle placide e purissime atmosfere in dialogo col silenzio dei primi tre movimenti e del quinto, ai flussi più caldi e variopinti rispettivamente in stile Marsen Jules e Pjusk del quarto e del sesto, fino alla (evitabile) deriva atonale a tre passi da “Cendre” degli ultimi due. Quel che si sente forte e chiaro, però, è proprio la mancanza del soggetto e della sua sensibilità, il cui vuoto non riesce a essere colmato dal freddo rigore generativo.

L'idea di base, insomma, è decisamente attraente: trovare un suono in grado di evolversi autonomamente - con l'artista intento solo ed esclusivamente a fornire l'input di partenza, la scintilla - e al tempo stesso di farlo con mezzi, strumenti e approcci sempre diversi. Ma se condizione fondamentale dell'ambient music è il suo carattere, sia esso frutto di un'esperienza interiore dell'artista, del suo status di suono partecipativo all'ambiente circostante, del suo riprodurre o contemplare l'ambiente stesso o del suo rappresentare un ambiente autonomo in evoluzione propria, a questa “traccia di voci” manca, appunto, la capacità di farsi sentire e rendersi protagoniste, soggetti dell'ambiente che a loro stesse appartiene. Un circolo vizioso che, ne siamo sicuri, il talentuoso Kato sarà presto in grado di fugare.

17/01/2015

Tracklist

  1. I
  2. II
  3. III
  4. IV
  5. V
  6. VI
  7. VII
  8. VIII