Megan Henwood

Head Heart Hand

2015 (Dharma)
folk-pop, songwriter

Una scrittura frizzante, tutta guizzi e traiettorie peculiari, sì lirica ma con i piedi ben piantati per terra. Arrangiamenti variegati, tanto volti all'essenzialità della formula voce-chitarra quanto cesellati attorno a soluzioni cameristiche, quando non addirittura country. Un timbro vocale gentile e raffinato, ma che non esita a tirare fuori tutta la sua potenza quando le circostanze lo richiedono. Infine, tanta gustosa ricerca sulle sfumature emotive delle composizioni, ritrose a ogni possibile categorizzazione unitaria, ma mai sconfinanti in patetiche svenevolezze. Possono bastare come ingredienti, per una ricetta di sicuro successo?
In un anno di grande spolvero per il folk inglese, con nomi più o meno in vista a timbrare tutti il cartellino con le loro nuove uscite (spesso tra le migliori della loro carriera), il ritorno di Megan Henwood, a quattro anni dal timido esordio “Making Waves”, è finito con il passare un po' in secondo piano, spinto nelle retrovie da ben più agguerriti contendenti. Basta però quanto scritto nelle precedenti frasi per mettere in luce le qualità e le peculiarità di una musicista che, con il suo nuovo “Head Heart Hand”, se non agguanta il capolavoro, mette comunque il primo punto fermo della propria carriera, evidenziando una maturazione autoriale e un controllo stilistico di prima scelta. Con un pizzico d'accortezza in più, i tempi erano assolutamente maturi per garantire maggiore copertura al progetto.

Anche così, si può comunque rimediare facilmente alla mancata pubblicizzazione, e lasciarsi avvincere da una manciata di brani, che nel mantenere i piedi ben piantati a cavallo tra tradizione e slancio pop, recuperano (e in un certo senso perfezionano) la ricetta ormai stantia di act come i Leisure Society, affiancandole una spiccata indagine timbrica e sfaccettature interpretative che di fatto garantiscono intensità e spessore anche agli episodi più in sordina. Priva del rigore e della severità antica delle sorelle Unthank, disinteressata a esprimersi nel linguaggio barocco ed errabondo di Sam Lee, la Henwood convoglia tutto il suo impegno nell'ideazione di melodie immediate e ruspanti, essenziali nella comunicazione quanto raffinate nelle fogge di supporto, sempre fieramente inglesi nell'anima e nel trasporto.
Che siano smaglianti aperture verso accorate torch-song (“These Walls”, dal vaghissimo retrogusto western) oppure vispi motivi da fischiettare senza vergogna (il capolavoro “Puppet And The Songbird”, dagli accentuati aromi celtici; la più campestre e malinconica “No Good No Fun”, tutta un lungo e trascinante ritornello), la penna di Megan trova metodi volta volta più interessanti per coniugare la sua doppia natura senza particolari favoritismi, riuscendo a muoversi con eleganza sopra il sottile crinale che ne separa, ma sarebbe meglio dire unisce, i tratti. Tra dirottamenti ritmici dal gusto prog (“Grateful Ghost”), arcane interpretazioni dal fascino senza tempo (“Rose Red”), motivi chamber-folk sorretti da delicatissimi svolazzi di archi e fraseggi pianistici (il blocco di tre brani che conclude l'edizione standard dell'album), la songstress sfrutta tutte le potenzialità del suo estro senza esclusione di colpi, scavando un percorso autoriale che nella sua versatilità trova un viatico preferenziale tra le proposte di Laura Marling e di Josienne Clarke.

E proprio all'ultima, alle sue filigrane di velluto e ai composti echi jazz-folk della sua proposta, la Henwood si avvicina con classe e delicatezza nella flessuosa “Four Words”, brano incluso in una deluxe-edition che per la ricchezza delle aggiunte ha ben poco da sfigurare con i pezzi della tracklist ordinaria. Un possibile percorso da intraprendere con maggiore convinzione, se se ne presenterà prossimamente l'occasione; di certo, con l'approccio soul con cui reinterpreta “This Woman's Work” di Kate Bush la cantautrice mette in chiaro di non avere proprio intenzione di sedersi sugli allori, ma di voler accostarsi alla creazione musicale con invidiabile e rinnovata freschezza di spirito.
Appassionata, compunta, con un pizzico di oscura severità ad accompagnare il suo eccellente storytelling (di certo, il repentino cambio di prospettiva tra i protagonisti dipinti in “Our Little Secret” non è di quelli che lascia indifferenti), miss Henwood promette insomma di far fruttare nel modo migliore il Bbc Radio 2 Young Folk Award vinto sei anni fa assieme al fratello. Un disco come “Head Heart Hand” vale molto più di una promessa.

31/12/2015

Tracklist

  1. Love/Loathe
  2. Grateful Ghost
  3. Chemicals
  4. These Walls
  5. Rose Red
  6. Garden
  7. No Good No Fun
  8. Our Little Secret
  9. Puppet And The Songbird
  10. Fall And Fade
  11. Lead Balloon
  12. Painkiller
  13. Dark Debt (deluxe edition only)
  14. My Ego My Shadow And I (deluxe edition only)
  15. Four Words (deluxe edition only)
  16. This Woman's Work (deluxe edition only)




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