Regista, musicista, scrittore, O. D. Davey con “Catgut Tape” non affida alla Tomlab un semplice album di bedroom-pop, ma una confessione quasi scandalosa di amori e sensazioni giovanili, che nel ricordo a posteriori non viene edulcorata o ripulita, ma affidata a note quasi silenziose, registrate sottovoce per non svegliare l’unico compagno di stanza, ovvero il suo cagnolino.
Folktronica intrisa di storie d’amore mai vissute, glitch che scivolano tra strumenti giocattolo e pianoforti accordati come carillon, un bisbiglio che somiglia a un canto, racchiusi in una tragicommedia dove i ruoli non sono stati ancora assegnati.
“Catgut Tape” suona come un matrimonio mai consumato tra le visioni elettroniche di Thom Yorke e la teatralità decadente e nostalgica di Neil Hannon, un incubo che diventa sogno rinnovando le intuizioni di How To Dress Well, Deptford Goth e Porcelain Raft.
Ritmi morbidi e sinuosi che la voce quasi soffocata condisce con poche spezie (“Pressure’s Organ”), melodie fragili che turbano e affascinano fino allo stremo (“Help The Bombardier”), suoni di carillon privi di corda (“Sniff Snuff”) che attendono il finale per scivolare tra le braccia del dub (“Essex”) e del glitch (“Honeymoon Blues”).
Elogio della timidezza e della solitudine giovanile, “Catgut Tape” è un album costruito su accenni melodici più che su vere e proprie armonie, la voce soffocata (quasi frutto di uno sforzo sovraumano) rende tutto atipico e originale con tocchi chill-out (“The Day We Slew The Hill”) riverberi dream-pop (“Pressure”), folktronica tinta di dark (“Spiders”), minimalismo gelido e imbarazzato (“The Drive”) e improvvisi guizzi di solarità (“Jessica's Song”) che candidano “Catgut Tape” come la versione futuristica e introspettiva dei lo-fi più puro.
15/06/2015