Petite Noir

The King Of Anxiety

2015 (Domino)
alternative r'n'b
6.5

Che la (new) new wave non fosse solo roba per bianchi lo avevamo già capito nel 2005, quando Kele Okereke ci incantò col debutto dei suoi Bloc Party, quel “Silent Alarm” irripetibile per la congiunzione di gelide e nevrotiche partiture post-punk riscaldate dal calore di una voce fieramente black. E, in tempi più recenti, ricordiamo la dark-wave degli O Children, che senza il mistero e la sensualità della voce nera di Tobias O’Kandi, sarebbe tutta un’altra cosa. Ma adesso ecco che arriva uno stravagante giovanotto da Cape Town, 24 anni, rispondente al nome di Yannick Ilunga, aka Petite Noir, e ci dimostra che anche i sudafricani possono essere bravi a suonare britannici. E allora per l’occasione, cogliendo al balzo lo spunto offerto da una sua definizione, chiamiamola “noir-wave” questa particolare unione di r’n’b dalle tinte fosche, new wave e post-punk, confezionati sotto il comun denominatore “art” che tanto va di moda oggi.

Yannick Ilunga deve aver ascoltato molto indie-rock inglese negli ultimi anni: le sue trame chitarristiche, delicatamente cesellate tra poliritmi elettronici, non creano un risultato poi troppo diverso da quello che si può apprezzare in un disco dei Wild Beasts, o perché no, nei brani più languidi ed evocativi dei Bloc Party, magari rinvigoriti da un tiro funk che porta in mente i Tv On The Radio. A tutto questo aggiungiamo un’estetica sfacciatamente vintage (guardare il videoclip super-kitsch di “Chess”), ed eccovi servita la bizzarra sensazione del momento.

Ma non si tratta di puro hype modaiolo: i cinque pezzi contenuti in “The King Of Anxiety” lasciano presagire interessanti speranze in prospettiva; non che manchino i pezzi già perfetti così come sono: “Chess” ne è l’esempio lampante: sei minuti e mezzo in costante progredire, in cui l’iniziale timido falsetto di Yannick ("I don’t know, but you’re taking me for a fool, boy”) evolve in uno splendido climax corale, con la chitarra che si disperde in mille rivoli tremolanti e le percussioni che si infittiscono in una trama dal sapore tribale.
L’ipnotico chitarrismo di “Till We Ghosts”, episodio dai tratti più marcatamente rock, entra in testa come un mantra, che invece si fa tutto corale nell’opener “Come Inside”, call and response direttamente dal cuore dell’Africa. Alla breve, ma intensa “The Fall” è affidata la languida e sognante chiusura dell’Ep.

Tenendo conto del fatto che “Till We Ghosts” è in giro già dal 2012, forse ci saremmo aspettati un debutto su lunga durata, e queste 5 canzoni non possono che lasciarci con la voglia di qualcosa in più. La fiducia, comunque, c’è tutta.

31/01/2015

Tracklist

  1. Come Inside
  2. Chess
  3. Shadows
  4. Till We Ghosts
  5. The Fall

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