Un esordio cantautorale può stupirci per la freschezza, l'estro, la chiarezza d'intenti, la promessa di un nuovo talento. Ma a sorprenderci davvero, nel caso di Sasha Siem, è che i raffinati arrangiamenti cameristici costruiti attorno alla voce sono anch'essi opera sua, che fa musica dall'età di cinque anni e da tempo si diletta anche nella composizione. La giovane e affascinante londinese non dissimula la propria sicurezza nel presentarsi con un'opera prima davvero sua, nel pieno controllo delle sue capacità.
Impertinente, sarcastica, affilata: così ci appare Sasha nel singolo-manifesto "So Polite", esemplare di un immaginario eminentemente postmoderno e post-femminista; le bruciature delle relazioni passate non ispirano più parole languide ma sensazioni epidermiche contraddittorie, frecciate surrealiste dalla metrica irregolare, parole sincere che siamo troppo beneducati per enunciare (People often ask me/ If I mind... / That now he's got girls/ Who like things/ Like I've never held a gun/ But I'd like to/ On his face... book).
Sasha non guarda più in faccia a nessuno, delinea con gesti rapidi l'autoritratto sbarazzino di una donna che, se necessario, preferisce passare per stronza che cedere agli stereotipi dell'amante afflitta, vittima di storie e personaggi fallimentari. In questo senso è speculare l'azione del quartetto d'archi, i cui pizzicati sono come stoccate di fioretto, aculei retrattili che più volte hanno un ruolo puramente ritmico ("Seamy-Side"), si riducono a un sibilo che demanda alla cantante la sola linea melodica. Aggiungeteci delle aspre striature elettroniche che accentuano la tensione, trasformando alcuni episodi in veri e propri assalti frontali.
Ma non pensiate che "Most Of The Boys" sia un album invariabilmente sugli scudi: la stessa title track, dopo un attacco al fulmicotone, lascia spazio al desiderio di credere nell'eccezione (Because she's longing to believe/ That it's better to believe/ That this time the feeling won't fade). La disillusione di Sasha non l'ha trasformata in un cuor di pietra, e a dimostrarlo ci sono l'accorata dedica "My Friend" – un invito all'amor proprio per chi crede di non valere più nulla – e il finale agrodolce di "Valentine", separazione obbligata che si scioglie in un'estrema dichiarazione d'affetto (You've been my adventure/ You've been my excuse/ You've been my religion/ And now I'm letting you loose). A metà strada fra Alela Diane e Shara Worden, l'espressività vocale di Sasha Siem si adatta con disinvoltura a ciascun registro, da quello smaccatamente teatrale al più delicato ed empatico che ci si possa aspettare.
Gusto, dinamismo e sintesi: non si può davvero chiedere di più da un debutto solista che è un bignami di composizione pop contemporanea. Colpevolmente passata sotto silenzio, l'istrionica e sensuale Sasha Siem è pronta a sbalordire chiunque in uno schiocco di frusta.
22/05/2015