Say Lou Lou

Lucid Dreaming

2015 (Columbia)
electro-pop

Andrà a finire che ricorderemo il 2015 del pop come l’anno delle gemelle.
Non saranno le prime a esordire quest’anno, né le uniche a provare una sortita dalla periferia svedese dell’impero (qualcuno ricorda le Taxi Taxi?), ma è certo che Elektra June e Miranda Anna Kilbey partono comunque con un vantaggio mica da poco rispetto a tutte le omologhe in quel dorato mondo. No, non ci riferiamo all’impegno in qualità di modelle testimonial per Gucci, anche se è plausibile che questa voce del loro curriculum non le ostacoli affatto nella rincorsa al successo. No, molto più semplicemente le due cantanti rientrano nella categoria dei figli d’arte, e con buoni titoli per giunta: il babbo, australiano, è lo Steve Kilbey cantante e bassista nei Church; la mamma, Karin Jansson, suonava la chitarra in una band punk femminista di Stoccolma, le Pink Champagne, prima di migrare a ben altre latitudini e dare il la a un breve sodalizio con il compagno negli ormai dimenticati Curious (Yellow). Si era a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta e loro non erano ancora nate. Ventiquattro anni dopo eccole pronte a tentare la fortuna da protagoniste. Dopo un singolo con Chet Faker, un Ep e un trascurabile cambio di ragione sociale, per le sorelline è l’ora del levigatissimo album di debutto, in uscita nientemeno che per la Columbia.

Se “Lucid Dreaming” non fatica a presentarsi come un lavoro ineccepibile sul piano formale – ci hanno messo mano volponi come Liam Howe (FKA twigs, Foxes), Jim Eliot (Ellie Goulding) e Lindstrøm – sul versante delle emozioni il risultato appare però fallimentare, con una rassegna di undici compitini svolti in modo scolastico e senza un solo lampo creativo degno di nota.
Come risposta alle Ibeyi, lo chiariamo subito, vale sicuramente un buco nell’acqua. Sembra più ragionevole l’attinenza con altre gemelle celebri, le canadesi Tegan & Sara, ma anche in questo caso ogni raffronto va tutto a loro svantaggio. Più che altro queste Say Lou Lou suonano come una via di mezzo tra le Client, di cui paiono la variante “ninfetta” opportunamente edulcorata, e un’altra fantasmagorica scandinava, Oh Land (senza fantasmagorie, nel loro caso). E’ davvero troppo trasparente l’interpretazione, su sfondi sonori impeccabili per lo scopo, patinati e luminosi, seppur incapaci di andare al di là dalla mera scenografia di rito. Si possono archiviare così il singolo battistrada “Everything We Touch” e “Nothing But A Heartbeat”, danzerecci, catchy e squillanti alla maniera di tanti brani della danese appena citata, ma senza un solo briciolo del suo carisma. Funziona meglio “Glitter”, dove il tappeto di synth approntato per le ragazze osa qualche curioso slancio art-pop e riesce quantomeno gradevole e divertente, tra pastelli grigiastri e un refrain non così disprezzabile.

La prova delle fanciulle rimane tuttavia freddina e del tutto impersonale, e anche capire dove finisca la voce dell’una e attacchi quella dell’altra è impresa impossibile. Quando si giocano la carta di un electro-pop frivolo e nemmeno troppo vagamente eighties (“Games For Girls, ospite proprio Lindstrøm), le cose non migliorano granché e non può certo essere un tormentone ammiccante (ma scialbo) a invertire la tendenza. Talvolta azzardano velleità più adulte, sensuali e – oseremmo dire, non suonasse come una bestemmia – autoriali, ma ad avere il sopravvento è solo la noia. Ci riferiamo a “Julian” come a “Angels (Above Me)”, chiassosa nel contrasto tra il minimalismo della preparazione e il rutilante sfarzo del ritornello. “Beloved”, scritta da Hannah Robinson (già autrice per Lana Del Rey), non sarà canzone da perderci il sonno ma, se non altro, come numero easy-listening ha un senso e in questa raccolta pare destinata a fare un figurone: una pur blanda idea di profondità e una melodia non così irrimediabilmente piatta sono un bell’incentivo a portare a termine l’ascolto senza fiondarsi sul pulsante skip. La pompatissima “Hard For A Man” prova a offrire un’ulteriore scossa ma tutti i rilevatori tornano a tendere verso lo zero, con la sola eccezione di quello della banalità che qui quasi impazzisce.

L’incapacità di coinvolgere il fruitore – lo avrete capito – è un limite insormontabile del disco, ma anche la lunghezza eccessiva (in qualche caso sconsiderata) di quasi tutti i pezzi non aiuta certo.
“Wilder Than The Wind” sconfessa il titolo che porta in dote con una staticità plastica ed emozionale che non dovrebbe avere rivali qualora cercaste un metodo infallibile per conciliare il vostro sonno. Risulta appena passabile “Peppermint”, mortalmente fedele al solito schema ma abile a simulare l’aura elegante e il velluto di cui le colonne sonore degli ultimi 007 abbondano.
Anche la chiusa diligente di “Skylights”, che si sarebbe voluta catartica o liberatoria, resta forse troppo fiacca e tiepida per poter assecondare le sue ambizioni e gratificare davvero lo sventurato ascoltatore. Di rado ci era capitato di trovarci così poco coinvolti o stimolati dall’incontro con un album pop, ma questo esordio con noi proprio non ha gioco. Frigido è la parola che meglio di ogni altra lo racconta, senza dubbio lapidaria ma puntuale. Il suo uscire con le ossa rotte persino dal confronto con la più recente fatica di Marina And The Diamonds rende la misura della debacle di “Lucid Dreaming”.
Davvero troppo poco per le figlie della coppia che ha regalato al mondo “Under The Milky Way”.

09/04/2015

Tracklist

  1. Everything We Touch
  2. Glitter
  3. Games For Girls
  4. Julian
  5. Angels (Above Me)
  6. Peppermint
  7. Beloved
  8. Hard For A Man
  9. Wilder Than The Wind
  10. Nothing But A Heartbeat
  11. Skylights


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