Formati negli anni 60, i fiorentini Spettri sono uno dei tanti complessi nostrani attirati dapprima dal beat italico e poi dalla crescente reputazione dello spaghetti prog. Il loro debutto su Lp, “Spettri” (Black Widow, 2011), registrato nel 1972 ma pubblicato solo quarant’anni dopo, disegna - a suon di hard-blues basato sull’organo di Stefano Melani - un concept esistenziale non diverso dalla stragrande maggioranza degli album coevi, il cui opaco pathos deve oltretutto fare i conti con l’esecuzione amatoriale (specie il canto) e la retorica greve.
Il seguito, “2973 La nemica dei ricordi”, muta questo bianconero in sgargiante policromia. Anzitutto aggiunge strumenti e spazi timbrici: pianoforte e fiati in “La nave” si contrappongono, si affiancano e si sfiorano, fino a un accelerando con gong finale, i boogie guidati dalle tastiere di “La profezia” e la più estesa title track, rispettivamente, capitolano in un grande coro e poi ridanno linfa al loro motore Deep Purple.
A questo si affiancano anche calligrafie appena più sacrileghe, come il quasi tango che apre “Onda di fuoco”, e più compiutamente la ninnananna King Crimson-iana di sirene “Il delfino bianco” che trova sfogo nel quadretto celtico di chiusa “L’approdo”. Ma soprattutto, brani come “Il lamento dei gabbiani” e “La stiva” fanno concretamente giustizia di quell’immaginario gotico sotteso al nome della band (finora tutto sommato inespresso).
Di nuovo registrato in presa diretta, e rigorosamente in analogico (tre versioni mono come bonus per ribadire il concetto), lo stesso modus del debutto, un concept sul viaggio fantastico - e, ovviamente, fantascientifico - di una nave che va, comunque baciato dalla tecnologia fonica contemporanea, tutta sinfonismo professionale e scenografici effetti 3D. Tanta felice possanza strumentale ha anche il viziaccio della grandeur rococò, d’una spettacolarità fin troppo sottolineata che lede l’economia dell’ascolto.
27/11/2015