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Evin Temper

2015 (Gizeh)
dream-tronica

Gavin Miller e il suo socio Tom Ragsdale sono apparsi sin dal primo momento in vesti maledettamente simili a quelle evocate dalla loro musica. Poche informazioni, ancor meno foto, tutte deformate, sfocate o con le loro figure immerse in un grigio fumoso, rarissime interviste pure piuttosto brevi: un'attività comunicativa radente lo zero. Personaggi sfuggenti che non stupisce ritrovare dopo la bellezza di sei anni dal loro debutto, quell'“Arrivals” pieno di un fascino frammentato e parcellizzato, reso inintellegibile, quasi volutamente criptato.

Settantadue mesi di gestazione portano alla nascita di “Evin Temper”, la sintesi di quanto esposto nel primo lavoro in forma di tesi nascoste e antitesi depistanti. Qui siamo nel luogo di un'elettronica sognante morbida ma fortemente sostanziale, non estranea a una certa infarinatura witch-house (Zola Jesus in mezzo alle diavolerie analogiche e a un passo dalla prima Gazelle Twin). Una miscela in cui la dimensione del sogno si fa concreta, tangibile, conoscibile con gli occhi della veglia, lontana anni luce dai cliché del dream-pop contemporaneo.

Così se la suggestiva introduzione di “I'm Not Much, But I'm All I Have” sembra inchinarsi alle ultime prodezze degli Inventions, il soundscape si fa subito chiaro nella doppietta da capogiro che apre le danze. “Sleep Of The Foolish” è una marcia in una landa dub-techno colma di esoterismo e armoniche corali, un gioiello dalla sacralità macchinale che Andy Stott remixerebbe volentieri. “Baychimo” alza il ritmo e ritorna per un attimo sulle origini post-rock di Miller, guardando a lande che i Vessels della svolta hanno reso loro verbo fondativo.

Su “Church Of Red” questo legame raggiunge il suo epos, fra girandole analogiche e masse d'aria in movimento: una glaciazione che distorce e rimescola le carte ordinate a puntino di Xeno & Oaklander, aprendo le porte a una fase del disco decisamente più irrazionale. Quest'ultima passa attraverso le sinistre nebulose di rumore di “A Damaged Magician” e l'impensabile eppure efficace fusione tra la sporcizia allucinata dell'ultimo Actress e le meraviglie al fulmicotone di bvdub, riunite sotto uno stesso tetto in “Jaki”.

Se “All Safe, All Well” chiude rintanandosi di nuovo nelle lande ambientali della partenza, “MV Joyita” è un'incomprensibile (ma al più giustificabile) caduta di stile alla ricerca di un contatto pop (direzione Bristol/Archive), sulla quale pesa non poco la scialba prestazione vocale del figlio d'arte Morgan Visconti (sì, il secondogenito del secondo matrionio del mitico Tony). Non abbastanza per minare l'equilibrio di un disco in cui i due giocano magistralmente con i colori, costruendo sfumature dalla disarmante intensità sfruttando tinte base livide, pallide, in apparenza persino anemiche. Avvolti nel mistero, nella nebbia, sfuggenti quanto e più di prima.

23/03/2015

Tracklist

  1. I'm Not Much, But I'm All I Have
  2. Sleep Of The Foolish
  3. Baychimo
  4. Church Of Red
  5. MV Joyita (feat. Morgan Visconti)
  6. A Damaged Magician
  7. Jaki
  8. All Safe, All Well

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