Nik Bärtsch

Continuum

2016 (Ecm)
jazz

Il pianista svizzero Nik Bärtsch può considerarsi come il corrispettivo europeo del suo coetaneo americano Vijay Iyer, sebbene Bärtsch affondi le sue radici quasi esclusivamente nella musica colta europea, avendo effettuato in passato solo sporadiche incursioni nel jazz vero e proprio. Si potrebbe meglio dire che Bartsch è uno dei più colti e preparati esponenti del jazz dell'ultimo decennio che stanno però tentando di rinnovare quasi radicalmente il verbo di tale nobile musica afro-americana, senza comunque impantanarsi in sterili esperimenti di puro astrattismo sonoro, visto che sono territori già ampiamente battuti in precedenza da illustri musicisti jazz.

Non è un caso che Bärtsch vanti studi classici di conservatorio e che ami enormemente sia la musica da camera europea che la scuola minimalista americana (più di un critico ha citato Steve Reich tra i suoi numi tutelari, nonostante questo sia un paragone un po' fuorviante, oltre che ingombrante). Discograficamente, Bärtsch ha esordito in proprio con un album, "Hishiryo" (Ronin, 2006) per poi continuare a incidere parallelamente con due diversi suoi ensemble, i Ronin (quelli più legati al jazz e che hanno al loro attivo quattro titoli per la Ecm, "Stoa" del 2006, "Holon" del 2008 e "Llyrìa" del 2010 e un doppio live del 2012) e i più indefinibili Mobile, a cui è stato accreditato questo "Continuum", fresco di stampa (il primo album, "Ritual Groove Music", uscì nel 2004 per la Tonus-Music-Records).

Peculiarità di ogni suo album sono i nomi dati alle composizioni, tutte titolate come "Modul" ("modulo", quindi). "Continuum" rappresenta un grande passo in avanti rispetto a tutto ciò che il pianista di Zurigo abbia già sperimentato in passato. Qui si raggiungono un equilibrio e una forma perfetti. "Modul 29_14" inizia con un incipit di stampo minimalista eseguito al pianoforte per poi trasformarsi in una bossa nova brasiliana, complice l'accompagnamento di tutto il suo organico strumentale, per poi tornare alla fine esattamente come al punto di partenza (ovvero con un tenue ma deciso andamento minimalista).

"Modul 12" è la più sperimentale del lotto, tutta costituita da un ritmo eseguito con le spazzole della batteria, un vibrafono e rarefatti interventi di pianoforte, dalla melodia quasi inesistente. "Modul 18" adotta un adagio da camera (nell'ensemble è presente anche un quintetto d'archi), ma sostenuto da una ritmica sempre costantemente presente. Altra composizione sorprendente è la "strumming music" memore degli insegnamenti di Charlemagne Palestine di "Modul 5", laddove "Modul 60" ritorna alla cara e vecchia scuola cameristica europea, essendo principalmente un lieder tardo romantico.

La melodia e le armonie a incastri di "Modul 4" riportano tutto al presente, mentre il tono in crescendo di "Modul 44" quasi rasenta l'enfasi, senza mai scadere nel pacchiano. Il disco termina con il post-bop di "Modul 8_11", a dimostrazione che è ancora possibile realizzare dischi di jazz che riescono a evadere ogni stereotipo possibile e a tentare, per quanto possibile, qualcosa di più personale (usare il termine "rivoluzionario" sarebbe forse un azzardo, ma mai perdere le speranze in tal senso).

Eccezionale è la registrazione effettuata da Stefano Amerio all'Auditorium Stelio Molo di Lugano, ormai uno dei nostri tecnici del suono più validi e preparati (non a caso, sia Giovanni Guidi che Matteo Bortone si sono serviti del suo prezioso lavoro in fase di registrazione).
Sempre su Ecm è da poco uscito un disco dall'impianto quasi simile, ma solo dal punto di vista grande orchestrale, "The Distance", accreditato all'Ensemble Kolossus del contrabbassista Michael Formanek (con svariati e numerosi interventi, da Tim Bernea Oscar Noriega e tantissimi altri ancora).

 

18/03/2016

Tracklist

  1. Modul 29_14
  2. Modul 12
  3. Modul 18
  4. Modul 5
  5. Modul 60
  6. Modul 4
  7. Modul 44
  8. Modul 8_11

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