Ben Monder è tuttora un misconosciuto chitarrista jazz newyorkese che ha alle spalle un discreto numero di collaborazioni e di dischi solisti. Forse qualcuno lo avrà notato come ospite nell'ultimo album di David Bowie, "Blackstar" (Rca/Sony, 2016), mentre ben pochi lo ricorderanno come membro degli ultimi gruppi messi in piedi da Paul Motian.
Nonostante gli apprezzamenti espressi nei suoi confronti da illustri colleghi come Pat Metheny e Andy Summers, quello di Monder è un nome che ancora stenta a decollare definitivamente, anche tra gli appassionati di jazz. Esattamente come il più giovane chitarrista danese Jakob Bro (anche egli proveniente dall'entourage di Paul Motian e autore di un valido "Gefion", uscito lo scorso anno per la Ecm), pure Monder sta riscrivendo, in maniera del tutto autoctona e personale, la storia classica del chitarrismo jazz degli ultimi quaranta anni. E' infatti innegabile che i suoi nomi di riferimento siano quelli classici, da John Abercrombie a Ralph Towner, fino ad arrivare a quelli più d'avanguardia come Bill Frisell e David Torn.
Monder sta però cercando di spostare ancora un poco più in là il discorso musicale intrapreso anni fa dai suoi maestri, e in questo nuovo "Amorphae" (uscito solo in questi giorni per la Ecm, nonostante sia rimasto bloccato per un paio di mesi a causa di problemi contrattuali e di distribuzione) ci è riuscito appieno. L'album raccoglie due differenti session di studio, la prima risalente a ottobre 2010 (tra l'altro, questa è l'ultima testimonianza di Paul Motian in sala di incisione prima della sua scomparsa, avvenuta alla fine del 2011) ai Sear Sound Studios, mentre l'altra, realizzata nel dicembre 2013 al Brooklyn Recording Studio, vede la partecipazione del veterano batterista free-jazz Andrew Cyrille e di Pete Rende al sintetizzatore.
Se "Tendrill", "Tumid Cenobite" e "Triffids" delineano semplicemente delle melodie impalpabili mediante dei soffici, sparuti e delicati arpeggi di chitarra (molto d'amosfera, comunque), la cover al vetriolo di "Oh, What a Beautiful Morning" del duo Rodgers/Hammerstein risulta irriconoscibile e completamente stravolta, grazie a delle sapienti distorsioni e riverberi chitarristici.
L'apparentemente quieta "Gamma Crucis", con i suoi discreti interventi elettronici di Rende, riserva più di una sorpresa, a un secondo e più attento ascolto. La moderatamente astratta "Hematophagy" fa tesoro anche delle stecche chitarristiche di Henry Kaiser, così come i feedback reiterati di "Dinosaur Skies" esulano dai tipici cliché di altre decine di chitarristi jazz mainstream odierni.
Ora non resta altro che aspettare Monder a una riprova, sperando che si dimostri all'altezza della situazione e che questo suo "Amorphae" non rimanga un episodio isolato nella sua già nutrita discografia.
07/02/2016