Carly Rae Jepsen

E·MO·TION Side B

2016 (604 / School Boy / Interscope)
synth-pop, dance-pop

Dev'essere stata durissima per Carly Rae Jepsen scegliere quali brani inserire nella scaletta definitiva, tra i 200 e passa scritti in occasione di “E·MO·TION”, il suo terzo album uscito la scorsa stagione. Appurato dalla Interscope come fosse da escludersi la pubblicazione di un disco che contenesse più di una ventina di tracce (e tale numero giusto per un'eventuale edizione deluxe), la decisione di quali canzoni lasciare nel cassetto e quali promuovere a titolari poneva un serio imbarazzo, considerando la quantità di materiale a disposizione, e il rischio di guastare la tracklist con scelte non adeguate. Col senno di poi, le dodici tracce finite nel disco (espanse fino a diciassette nelle varie versioni opzionali) hanno mostrato una mente lucida e capace di optare per le soluzioni più opportune ed efficaci, eppure era troppa l'insoddisfazione per l'impossibilità di vedere ascoltata, finanche amata, la maggior parte dei frutti di una stagione creativa così straordinariamente fervida.
Così, dopo che alcuni dei pezzi composti hanno preso la via della Corea e del Giappone (“When I'm Alone”, contenuta in “4 walls” della girl-band f(x), merita quantomeno un ascolto), a un anno esatto di distanza dalla pubblicazione occidentale del lavoro, arriva una preziosa appendice di otto tracce, regalo graditissimo per chi ha scovato nei solchi dell'album una delle più appaganti esperienze pop degli ultimi anni. Soddisfazione amplificata con queste B-side, che permettono di apprezzare ancora una volta tutta la finezza e la maturità del songwriting di Jepsen, ma soprattutto avere una più ampia panoramica del processo creativo e dell'ampiezza stilistica esplorata durante la registrazione del lavoro: eppure, definirle semplicemente B-side suona quasi come un insulto.

Vero è che un pezzo come “Store”, che al di là dell'innegabile coraggio presenta una scrittura fin troppo bislacca per gli standard più lineari di “E·MO·TION” (paradossalmente il momento topico arriva in corrispondenza del middle-eight, rispetto a un ritornello dai tratti più bubblegum che si traduce in un perfetto anticlimax), non avrebbe potuto trovare alcuno spazio nella tracklist ufficiale. Fatta questa debita premessa, per i restanti brani c'è poco di che obiettare: quanto a varietà melodica, a pluralità di registri, a capacità di rielaborazione/reinvenzione delle influenze (gli anni Ottanta, per quanto stravolti e adattati, costituiscono ancora il faro nella notte), ciascuna delle canzoni offerte nel mini-album avrebbe potuto ricavare tranquillamente la propria nicchia all'interno del disco-madre, senza spezzarne in alcun modo la compattezza.

Se possibile, con molti dei pezzi qui presentati si sarebbe potuto disporre di un ventaglio ancora più ampio di opzioni stilistiche. “First Time”, con quei synth dal tocco più scanzonato che mai, tra Gloria Estefan e la prima Madonna, avrebbe donato all'album un'aria più dance e sbarazzina (e in effetti di pezzi puramente dance non è che se ne potessero elencare tanti). “Body Language” accentua ancora di più la voglia di ritmo della Jepsen, puntando a costruire una pop song tutta bollicine e schiuma, che anche in tutta la sua stupidità mostra quale sia la differenza nelle competenze tra lei e Taylor Swift, per citare la più diretta contendente. Anche negli episodi più affini alle forme assunte dall'album-madre, il livello rimane comunque adeguato agli elevati standard di scrittura proposti. Su un tappeto sintetico più teso e febbrile, “Higher” s'imposta quasi come il prototipo da cui hanno tratto mossa molti dei momenti topici del disco, maneggiando ritornelli in levare, coretti ritmici e transizioni strofa-refrain con la scafatezza che si è imparato a conoscere in “E·MO·TION”. A ruota seguono anche le due ballate della collezione, che sanno giocare bene le proprie carte a disposizione senza scadere nel patetico: la più classica “Roses” punta tutto sulla finezza della scrittura, che di suo sopperisce con classe ogni traccia di prevedibilità compositiva, mentre “Cry” si contraddistingue per un maggiore minimalismo espressivo, calibrato su scansioni ritmiche più delicate e un maggiore candore canoro.

Da dove la si prende, insomma, questa mini-collezione presenta ben poche crepe. Carly  Rae Jepsen chiude nel migliore dei modi una stagione creativa semplicemente magica, che a costo di chiuderle per sempre ogni contatto con le classifiche ha saputo accattivarsi le grazie di un pubblico decisamente più curioso, e soprattutto, evidenziare tutta la ricchezza e l'espressività di un songwriting tra i più impeccabili e dinamici nel circo dorato del pop. Difficile che le prove successive, almeno a stretto giro, non siano all'altezza di quanto sfoderato in questo biennio.

27/09/2016

Tracklist

  1. First Time
  2. Higher
  3. The One
  4. Fever
  5. Body Language
  6. Cry
  7. Store Roses

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