Wild Billy Childish & CTMF

SQ1

2016 (Damaged Goods)
punk-rock, garage

The second Lp's never as good
Five steps down on square one
Per Steven "Billy Childish" Hamper ogni disco equivale a un debutto.
Certo fa sorridere quel "secondo Lp" menzionato nel testo della nuova title track, visto che l'"SQ1" fresco di pubblicazione per l'immarcescibile Damaged Goods viene accreditato da più parti come la centocinquantesima puntata di un serial discografico forse senza eguali. Il richiamo al fantomatico "punto di partenza" eternamente differito ha peraltro senso, a proposito di un artista la cui spinta evolutiva è sempre stata mantenuta, deliberatamente, al grado zero. E dunque rieccolo famelico, il baffone di Chatham, sgangherato e arrembante con un sound se possibile ancora più ruvido e approssimativo della sua norma, un lo-fi senza fronzoli che va avanti a suon di spigoli e sudiciume di fuzz, uno strato di riverbero sopra l'altro, e snocciola con puntualità i soliti mantra balordi e irrinunciabili.

Lo avevamo lasciato nemmeno due anni fa con l'opera terza dell'avventura Wild Billy Childish & CTMF, per ritrovarlo oggi con il relativo seguito. Non che nel frattempo il Nostro sia rimasto proprio con le mani in mano. In pochi mesi ha fondato (e pubblicato il primo Ep del)la nuova compagine The Dear Watsons, definita "una costola dei CTMF che suona R'n'B di terza divisione", ha licenziato la quinta e ultima fatica degli Spartan Dreggs, oltre a un Dvd compilativo con tutti i cortometraggi musicati dei Chatham Super 8 Cinema (progetto risalente al 2002): tanti nomi per una band che è di fatto sempre lo stesso terzetto da una quindicina d'anni e ha recentemente interrotto una pausa nelle sue attività live durata un lustro abbondante.

Un gruppo quadrato e inconfondibile, insomma, anacronistico quanto si vuole ma, a ben sentire, mai davvero inattuale, si profonde così nell'ennesima celebrazione della presa diretta. La Roadrunner del capobanda sembra uscita da un documentario sul punk-rock inglese dei tardi anni Settanta, ma dietro l'ambientazione sonora non c'è alcun artificio revivalista perché il vintage di Childish dimostra ancora una volta di prediligere una dimensione squisitamente sentimentale. È tutta questione di carattere, mica di scaltri espedienti di quelli oggi così in voga. E se lui insiste a recitare la sua parte senza la minima variazione di rilievo, la sua consorte non è da meno.

Il bello dei dischi delle ultime incarnazioni childishiane risiede anche nella sana pratica dell'alternanza tra le due voci: da un lato il garage duro e puro del cantante - con buona pace del suo puntualizzare a favore dell'eccentrica etichetta shed-rock, rivendicata apertis verbis in "CTFM" - dall'altro il vizioso e non certo meno rude girl-group da sciroccati di cui è da sempre espressione la sua controparte femminile. Accomunate dalla purezza che trasudano, le due cifre si compenetrano e completano a meraviglia. La signora Hamper accantona l'alias Nurse Julie, rispolvera la Juju della parentesi Chatham Singers e, in almeno un paio dei cinque gettoni a sua disposizione (sugli scudi la superba "It's Over" con il suo romanticismo a brandelli), si supera nel compromesso tra dolcezza e cattiveria, uscendo come esaltata dalla veste analogica di un suono che non potrebbe mai rinunciare alla propria sporcizia.

Accigliata al punto giusto, "CTMF" è il nuovo manifesto identitario, ideale tessera di un mosaico destinato a non venire mai ultimato e che ha nell'inaugurale "A Song For Kylie Minogue" l'aggiornamento forse più significativo del grande romanzo dell'artista inglese. Che nell'occasione si interroga non senza ironia o scetticismo sugli imperscrutabili (quando non sospetti) motivi che hanno spinto celebrità della musica per lo più yankee - tra cui Cobain e lo "strano giovanotto" Beck - a fare di lui un'icona degna di venerazione. Al posto di uno sterile quanto vago ribellismo, la linfa è rappresentata dal disincanto impetuoso e beffardo che nelle opere firmate da Hamper non è mai venuto meno.

Tra riff grossolani, di quelli davvero tagliati con l'accetta, e refrain strafottenti ma micidiali, lo svagato frontman si concede più di un cantilenante siparietto ("It Points To The Clue", "A Glimpse Of Another Time", la paranoide "A Fallen Tree") senza mai silenziare l'indole selvaggia della sua intestazione, quel piglio naif di fiero anti-intellettuale, portando avanti con lo stesso indomito candore di sempre i propri assalti frontali. Le sole eccezioni alla regola riguardano l'adrenalina della cornice - i due brani "americani" del lotto che portano una ventata di sana follia - con le tre note d'organo replicate ad libitum in apertura e una sortita dell'armonica dell'amico Jim Riley nel congedo di "Cadillac", digressione quasi rockabilly a dir poco inattesa.

L'impeto, insomma, è ancora quello dei principianti che non hanno nulla da perdere. Sul sudore o sui watt non si lesina certo, la batteria di Wolf Howard rimane tra le più pestone in circolazione e poco importa se a qualcuno tutto questo allegro circo apparirà patetico. Provateci voi a suonare così amabilmente incontaminati dopo centocinquanta album d'esordio.

24/06/2016

Tracklist

  1. A Song For Kylie Minogue
  2. SQ 1
  3. Turn And Run
  4. The Good Mind
  5. It Points To The Clue
  6. By The Way Of Love And Hate
  7. CTMF
  8. A Glimpse Of Another Time
  9. When I Think About You
  10. It's Over
  11. A Fallen Tree
  12. Cadillac

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