Death By Unga Bunga

Pineapple Pizza

2016 (Jansen Plateproduksjon)
punk-rock, garage

A una combriccola di ventenni come loro, nipotini in pectore di Roky Erickson, emuli scandinavi dell'American Beat di fleshtonesiana memoria e con intestazione scippata a una delle band più selvagge di ogni tempo, i Mummies, i favori del pronostico non li avremmo mai accordati. E non perché i Death By Unga Bunga non fossero bravi, tutt'altro. Più che altro non avremmo immaginato che sarebbero rimasti in sella abbastanza a lungo, a fronte di un formulario creativo rigorosamente coniugato al passato. E invece sono prossimi al traguardo del decennale, hanno lavorato con profitto sul tono muscolare e con "Pineapple Pizza", loro quarto album, azzardano addirittura una prima, velleitaria, American invasion.

Le coordinate stilistiche non sembrerebbero cambiate di una virgola. Il gruppo norvegese insiste infatti con il suo brillante revival power-pop, pur azzardando già in "I Can't Believe That We're Together" un passo in territori più propriamente punk-rock, con un sound poderoso quanto basta e risultati tutt'altro che disprezzabili. Per lo più la prima facciata vede comunque il quintetto di Moss badare al sodo, con l'ordinaria amministrazione delle proprie gradevoli canzonette rock'n'roll prive di additivi o sovrastrutture intellettuali di sorta. Il plateale disimpegno dell'operazione finisce così per rappresentare non soltanto il maggior pregio, ma anche il limite all'apparenza insormontabile di una cifra incapace di proporsi con soluzioni almeno in parte svincolate da una simile matrice.

Come già nell'interlocutorio predecessore, "You're An Animal", alla lunga il giochino del citare per citare tende a mostrare la corda: riffoni al caramello, pose garage zuccherine e refrain trionfanti in tiratura tutt'altro che limitata vanno così a inflazionare ed esasperare una formula sì divertente, ma inevitabilmente svilita dalla reiterazione dei medesimi trucchi. Certo, episodi come "Make Up Your Mind" si rivelano ancora abbastanza avvincenti, ma mancano quelle parentesi più crude che avevano reso imperdibili i primi due capitoli della loro avventura discografica, e l'ascolto prende una china risaputa senza più sorprese cui fare affidamento per una fruizione davvero godibile.

Con l'originalità ormai ridotta al lumicino, i Death By Unga Bunga si vedono costretti a qualche scaltro diversivo per fini di compensazione, mossa che - chiariamo subito - dà loro ragione: "Ooh, I'm Bad Bad Man" prova ad ampliare lo spettro con un romanticismo in odore di new wave che certo non dispiace, mentre la coda di "Strangers From The Sky" abbozza suggestioni lisergiche à-la 13th Floor Elevators pure intriganti. A silenziare una volta per tutte quella sensazione di compitino svolto in modo diligente pensano l'impeto, al solito rimarchevole, la sostanziale aderenza ai modelli di riferimento e una propensione al singalong a dir poco implacabile, rispettata in genere senza incertezze o sbavature (emblematica "Lady Fondue").

È però nelle battute conclusive ("Wasting Time", "Wish I Didn't Know") che i ragazzi convincono maggiormente, per la precisione quando scelgono di sposare senza più equivoci l'arrembante follia di tanti colleghi californiani di oggi - Fidlar e Audacity su tutti - con la necessaria ruvidezza e un'indole goliardica incarnata alla perfezione dall'immagine di copertina. La rumorosissima "Young Girls", ultimo dei quattro nuovi singoli, conferma nei fatti questo scarto espressivo anche autorevole, pur tradendo a ben sentire l'ennesima forma di dipendenza da un canone musicale già ampiamente consolidato. Ma in fondo è inutile pretendere di ascoltare la vera voce di chi recita così bene nei panni del novello Zelig.

29/06/2016

Tracklist

  1. Dollar Slice
  2. I Can't Believe That We're Together
  3. Best Friends
  4. I Can't Hide
  5. Make Up Your Mind
  6. Strangers From The Sky
  7. Tell Me Why
  8. Lady Fondue
  9. Ooh, I'm Bad Bad Man
  10. Wasting Time
  11. Wish I Didn't Know
  12. Young Girls

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