Al di là dell’alto grado di revivalismo, il fascino di un disco come “It Calls On Me” è innegabile. La confezione di questo ritorno dello psycher di Boston, poi, è ciò che salta più all’occhio - soprattutto il sound delle chitarre è la base, cristallina, di un amalgama passatista, che va dalla fine degli anni Sessanta ai primi Settanta, con le sue liquide litanie di una realtà rallentata (“Painted Eye”), i suoi arabeschi di basso, elettrica e flauto-synth (“Make Good Time”).
Come nell’esordio solista di Martin Courtney, la scrittura si mantiene tutto sommato sulla china del minimo necessario a reggere l’impalcatura sonora (“On Your Way”, di “A Place For You” spicca semmai l’arrangiamento). Da notare la Midlake-iana “Falling To Believe”, con tanto di ritornello epico e assolone in pieno spirito seventies, e la ballata alla George Harrison “Saturday – Sunday”.
In generale, data l’enfasi sul sound, “It Calls On Me” rappresenta un classico prodotto di genere, di sicuro successo presso i fan della psichedelia contemporanea, ma rimane comunque nell’ambito della “copia d’autore”.
27/02/2016