Entrofobesse

Sounds Of A Past Generation

2016 (Seltz)
grunge, alt-rock

Quartetto di base nissena, Entrofobesse ha debuttato con "Behind My Spike" (2009) che inseguiva stereotipi post-hardcore all'epoca ancora in voga, pur portato ed eseguito con una concezione libera, quasi anarchica, che va dai cambi di tempo ai tocchi eccentrici di arrangiamento, e soprattutto al predominio delle fantasie strumentali sulle parti cantate. Ancora breve e incerta, l'opera esponeva al meglio queste componenti praticamente solo in "A Little Brand Wood".

Sette anni dopo, con "Sounds Of A Past Generation", avviene però una maturazione che ha del portentoso. I brani hanno anzitutto tempi ampi e nessuna fretta. L'agonia blues "It's A Good Day To Die", tutta accordi claudicanti e petulanti, dispiega un canto sonnambulo che trova pian piano barlumi di forza rauca per elevarsi nel refrain. Ma è cantato solo una volta, preferisce anzi passarvi oltre per concedersi all'urlo più angosciato. Nella dinamica, la canzone (otto minuti) è degna della "Careful With That Axe, Eugene" dei Pink Floyd.

Così "Big Sky" impiega tutto o quasi il suo tempo a disposizione in una doppia Deep Purple-iana jam incrociata e sovrapposta: dapprima una cattedrale di chitarra a tempo ribattuto, quindi una ancor più celestiale voluta d'organo, a scambiarsi vicendevolmente il ruolo, fino a moltiplicarsi nell'iperuranio. E "Promise Land" la prosegue aggiungendo un cambio di tempo danzante e insistito. Tra queste, "Human Condition" trova la conclusione più catastrofica, tra fitte distorte e raffiche elettroniche.
Un formato appena più facile sta in "Big Black Heart" e "Revolution Day", in alternanza tra sarabanda post-rock in forma di schiacciasassi e le tiritere-mantra epilettiche hard-rock della voce, ma "Black Empire" erige ancora una gloriosa muraglia d'ipnosi lisergica.

L'opera dei quattro manomette, anche se non proprio alle fondamenta, l'ostinazione dello stoner-rock e la muta in preghiera lunga, giustificando e traducendo con polso fermo la sua appassita ripetitività ossessiva. Un caposaldo del rock tradizionalista italiano, forse l'unico a permettersi tanto potente magma timbrico, prossimo - e superiore - alla tarda calligrafia di Justin Broadrick. Non per niente c'è un Carlo Natoli (anche cantautore a nome Erri) alla scrupolosa produzione. Anche il cameo di Stefano Meli è tutta salute. Testi di denuncia e concept eco-ambientalista: arrivano un po' dopo. Co-produzione con Viceversa Records.

04/09/2016

Tracklist

  1. It's A Good Day To Die
  2. Revolution Day
  3. Big Sky
  4. Promise Land
  5. Black Empire
  6. Sounds Of A Past Generation
  7. Big Black Heart
  8. Human Condition
  9. Suzanne's Silver

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