Leon Vynehall

Rojus (Designed To Dance)

2016 (Running Back)
house

A volte basta davvero poco, un piccolissimo scarto di sensibilità o di approccio, perché i risultati di tale correzione sembrino invece frutto di balzi enormi, vere e proprie rivoluzioni copernicane. Lo avevamo lasciato con "Music For The Uninvited", breve album in cui cominciava ad acquisire familiarità col formato del long-playing, ed ecco che Leon Vynehall, due anni dopo, non sembra quasi più lo stesso producer di prima. Eppure, a ben ascoltare, non è che la differenza sia poi così marcata, il recente passato pare ancora costituire parte integrante del suo modus operandi. Questione di scarti, per l'appunto: per quanto interessanti fossero le intuizioni del primo album, capaci di tradursi in un interessante parco ritmi e in una visione complessiva ben più ricca del disco house medio, a mancare era una reale solidità d'impianto, un vigore che riuscisse a stuzzicare l'ascolto fino a lavoro concluso. D'altronde, si era già specificato come il possibile grande album fosse alla portata del produttore di Portsmouth: "Rojus" rende la possibilità ancora più concreta.

Ispirato dai documentari della National Geographic sui rituali d'accoppiamento delle paradisee (per quanto lontano come riferimento, "Rojus" sta proprio a significare "paradiso" in lituano), il nuovo album di Leon Vynehall approfondisce il gusto per la rifinitura ritmica e il collagismo sonoro già ben inquadrato nel primo lavoro, donando però loro nuovo spessore e intensità, nonché un calore del tutto inedito, a tratti non proprio così distante dal suonare pop. Lungi dall'accostarsi anche stavolta allo scenario Uk-house, che ha dominato per tre anni buoni il panorama dance inglese, la proposta del producer britannico riesce comunque ad ammorbidirsi e a rendersi più accessibile, lavorando di fino sui suoi elementi cardine, dai quali ancora emerge tutto l'interesse per pattern ad incastro e progressioni a carburazione lenta.

L'apparente smussamento delle asperità vale insomma pienamente la candela. Con la loro immediata riconoscibilità, e un impeccabile senso della composizione (che sa far fruttare anche minutaggi tutt'altro che essenziali), "Blush" e soprattutto "Beau Sovereign" si ergono a manifesti estetici del nuovo disco. La prima, in particolare, sventaglia in otto minuti gran parte dei motivi essenziali del lavoro, in una costruzione lavorata di cesello in cui si profilano l'interessante sampling di pianoforte dal tocco jazzy, i tocchi tropical-ambient sullo sfondo, a esaltare in maniera decisa il concept "esotico" del lavoro, il motivo di archi, a giocare con la possibilità di un'impostazione maggiore improntata alla melodia nei progetti futuri. Ipotesi affascinante, che la seconda traccia menzionata non esita a confermare: attraverso differenti combinazioni sonore, un arioso motivo di due frasi mandato in loop, tanto elementare quanto efficace, sa declinare ogni variazione della base in un andamento che con qualche azzardo si potrebbe quasi definire quello di una canzone.

Non che i restanti brani stiano a fare la figura delle comparse: "Paradisea", con i suoi lussuriosi kick dal tocco garage e l'interessante utilizzo del loop mono-nota di pianoforte, sviluppa attraverso la gestione di poliritmi, dinamiche e volumi il più brillante contributo alla lounge-house firmata 2016. "Kiburu's" sfrutta invece il ricco sostrato percussivo e la dovizia di accorgimenti nell'utilizzo dei synth a favore di un'intrigante struttura a climax, che sa proiettarsi ben oltre la semplice somma delle parti.
C'è chi potrebbe lamentarsi della mancanza di qualche graffio aggiuntivo, di un pizzico di cattiveria in più. Lungi dal simulare gli scenari assolati di un Moomin, "Rojus" non ha comunque bisogno di sfoderare gli artigli per mostrare di che pasta è fatto. Chiusura e apertura del disco, a mo' di cornice teatrale, esplicitano l'ampiezza delle possibilità comunicative della formula senza troppi giri di parole. Trattando sax e marimba come se il "tropicalismo" cui sono tendenzialmente associati non fosse mai esistito, "Beyond This..." e "...There Is You", a mo' di cornice teatrale, riescono a far fruttare il proprio taglio atmosferico senza difettare della consistenza propria dei momenti più puramente house del lotto.

Per puntare su dinamiche più massicce e magari anche qualche ritornello, c'è insomma tutto il tempo. Al momento, l'aggiustata data da Vynehall al suo metodo compositivo mette in luce una crescita e una consapevolezza nei propri mezzi ben tangibili. L'appuntamento per il capolavoro è quindi rinviato, ma l'attesa non sarà poi così sfiancante.

29/07/2016

Tracklist

  1. Beyond This...
  2. Saxony
  3. Beau Sovereign
  4. Paradisea
  5. Wahness
  6. Blush
  7. Kiburu's
  8. ...There Is You


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