Lucinda Williams

The Ghosts Of Highway 20

2016 (Highway 20)
americana, alt-country

L’ultimo disco in ordine di tempo firmato da Lucinda Williams che ho amato fu “Blessed”, risalente a quasi cinque anni fa. A fine 2014 fu poi la volta di “Down When The Spirit Meets The Bone”, che inaugurò l’etichetta di proprietà, la Highway 20, fungendo da inconsapevole (ed enciclopedico) preludio al suo lavoro numero 14 (compresi un paio di live), questo altrettanto monumentale “The Ghosts Of Highway 20”. I racconti dei e sui fantasmi che popolano la Interstate 20, un’autostrada che collega ben sei stati degli U.S.A., racchiusi in 14 tracce, rappresentano lo stato dell’arte del migliore Americana si possa trovare oggi in circolazione.

Niente cavalcate elettriche alla Neil Young (tipo “Seeing Black”, tanto per intenderci) ma puro e sopraffino alt-country venato di quella malinconia perfetta per dipingere paesaggi al tramonto, narrando di amori e perdite, con la ferita della scomparsa del padre ancora aperta nel cuore della Williams. La songwriter di Lake Charles (Louisiana), che lo scorso 26 gennaio ha compiuto 63 anni, intinge la propria scrittura nel country, nel blues e nel raffinato pop d’autore, preferendo toni molto più soffusi del solito, a tratti persino dolenti, come nel caso di “Death Came”, eloquente sin dal titolo.

Fra ballate lunari, batterie spazzolate, slide che si rincorrono e si sovrappongono, “The Ghosts Of Highway 20” è il disco che impone definitivamente la figura di Lucinda Williams fra le più grandi cantautrici americane. Gli sprazzi elettrici, tanto efficaci quanto elegantemente misurati (come nel caso dell’iniziale “Dust”), si stagliano all’improvviso rendendo l’impatto emozionale ancor più forte; d’altro canto la dolcezza è sempre pronta ad allargare le braccia verso l’ascoltatore (“Place In My Heart”, “Can’t Close The Door On Love”), raggiungendo lo zenit a metà disco nella lunga narrazione che contraddistingue gli oltre nove minuti di “Louisiana Story”.

“The Ghosts Of Highway 20” è anche gli aromi noir di “I Know All About It”, l’energia di “Doors Of Heaven”, le dinamiche della title track, le sbronze da saloon di “Bitter Memory", le chitarre in tremolo di “If My Love Could Kill”, le sommesse tessiture elettro-acustiche di “If There’s A Heaven”, il lungo mantra che si materializza nei quasi tredici minuti meravigliosamente narcolettici di “Faith & Grace”, perfetta per concludere gli 86 minuti complessivi. In mezzo a tutto questo c’è spazio per il personale rifacimento di “Factory” (l’originale di Bruce Springsteen era in “Darkness On The Edge Of Town”), e per la messa in musica di uno scritto di Woody Guthrie intitolato “House Of Earth”, perfetta per stritolarci il cuore.

“The Ghost Of Highway 20” ha tutte le carte in regola per diventare il più bel disco di Americana di quest’anno: meticoloso, costruito con sapienza e piglio artigianale, densissimo, sia nei suoni che nei testi, tanto da farlo assomigliare più a un Dylan d’annata che a un instant classic alt-country dei nostri giorni. Un album che va consumato con calma e dedizione, come un bourbon assaporato al tramonto, seduti su una vecchia sedia a dondolo nel bel mezzo della prateria. Vogliamo trascorrere la nostra vecchiaia così: ascoltando “The Ghosts Of Highway 20”, accanto a “Fuzzy”, “Mighty Joe Moon” e “Yankee Hotel Foxtrot”.

11/02/2016

Tracklist

  1. Dust
  2. House Of Earth
  3. I Know All About It
  4. Place In My Heart
  5. Death Came
  6. Doors Of Heaven
  7. Louisiana Story
  8. The Ghosts Of Highway 20
  9. Bitter Memory
  10. Factory
  11. Can’t Close The Door On Love
  12. If My Love Could Kill
  13. If There’s A Heaven
  14. Faith & Grace

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