Meshuggah

The Violent Sleep Of Reason

2016 (Nuclear Blast)
prog-metal, djent

Sono passati più di tre anni dal breve Ep "Pitch Black"(2013) e quattro dal precedente album "Koloss" (2012), ma finalmente i giganti del metal svedese sono tornati. A 21 anni dal capolavoro "Destroy Erase Improve" (1995) i Meshuggah non hanno nulla da dimostrare agli ascoltatori. Sono diventati, album dopo album, i padroni assoluti di uno strano modo di fare prog-metal, etichettato da alcuni come djent e corrispondente, in sostanza, al loro ormai classico stile. Poliritmi propulsi dal prodigioso batterista Tomas Haake e dal bassista Dick Lövgren, urla a media frequenza offerte gentilmente da Jens Kidman e la fidata coppia Mårten Hagström e Fredrik Thordendal a domare le chitarre: gli appassionati sanno cosa aspettarsi da ogni nuovo album della band, almeno da quando "obZen" (2008) ha messo virtualmente fine al loro periodo creativo.
Da qualche anno a questa parte, infatti, i Meshuggah si godono la loro posizione privilegiata nel panorama metal, protetti dal rispetto degli appassionati, del pubblico e dei virtuosi che ne ammirano le gesta con sguardo devoto. Come biasimarli, loro che hanno stravolto il panorama estremo come poche altre band negli ultimi trent'anni.

Questo nuovo "The Violent Sleep Of Reason" è un'opera dal blando tema politico, che tratta di terrorismo, estremismo religioso e violenza, senza mai esprimere idee e concetti in modo chiaro né approfondito. Si tratta di un cambiamento sostanziale dai temi fantascientifici di un tempo, ma arriva senza il coraggio che pure ci si poteva aspettare dalla band.
I brani si sono tendenzialmente allungati, così che ne bastano dieci per sfiorare l'ora totale. "Clockworks", oltre sette minuti, è uno dei loro poliritmi cervellotici da antologia, con uno sconnesso assolo di chitarra al centro e Kidman che si sgola sempre di più, pur avendo perduto la potenza di un tempo: è uno dei brani più convincenti degli ultimi album. Affascina anche il funk-metal tellurico della title track, sette minuti scarsi dove gli svedesi passano in rassegna atroci efferatezze sonore senza lasciare tregua ai timpani. "Into Decay" si apre con un insolito passo doom-metal, prediligendo la potenza alla velocità e alla complessità e riuscendo a diventare uno dei brani più umani di una carriera fatta di strutture meccaniche e robotiche.
Il resto dell'opera spazzola in lungo e in largo quello stile che li ha resi famosi: "Monstrocity" incastra un altro assolo pirotecnico in mezzo alla devastazione; "By The Ton" e "Stifled" si concentrano sul groove come accadde in "Nothing"; "Nostrum" riporta alla mente le complicate geometrie di "Caosphere".

Dopo anni di album suonati dai singoli membri separatamente e quindi assemblati digitalmente, i Meshuggah scelgono per "The Violent Sleep Of Reason" una soluzione "live in studio", palesata da alcuni dettagli, in primis l'opener con un Haake che dà il tempo al resto della formazione. Il risultato è un album più umano, meno asettico, che li allontana da una vecchiaia di metal tecnologico e digitale. Non c'è, neanche questa volta, un'innovazione che sia capace di rivaleggiare con gli sconvolgimenti del passato. L'impressione è che, con cadenza quadriennale i Meshuggah tornino a ribadire la loro importanza nella scena musicale estrema, che nel frattempo ha scopiazzato e, più raramente, rielaborato, le loro influenti invenzioni.

06/11/2016

Tracklist

  1. Clockworks
  2. Born In Dissonance
  3. Monstrocity 
  4. By The Ton
  5. Violent Sleep Of Reason
  6. Ivory Tower 
  7. Stifled
  8. Nostrum
  9. Our Rage Won't Die
  10. Into Decay


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