Mico Argiro'

Vorrei che morissi d'arte

2016 (autoprodotto)
songwriter, pop-rock
6.5

Dopo una lunga gavetta tra musica popolare, spettacoli teatrali e pop cantautorale, ritorna il cilentano Mico Argirò, con un album dal titolo che è insieme un augurio e una minaccia: "Vorrei che morissi d’arte". Un album che parla di esperienze di vita vissuta per la strada, di un presente di crescente contaminazione culturale - come lo è, inevitabilmente, il nostro - e che proprio per questo abbraccia nel suo portfolio stilistico diverse tradizioni locali, che vanno dal folclore polacco al reggae, passando per il jazz e la musica di strada. Un'idea di cantautorato a 360 gradi, quindi, che richiama nella sua archè quella già auspicata nella nostra penisola da Ivano FossatiVinicio Capossela che, partendo dai suoni della loro terra, hanno saputo assorbire le culture di molti angoli del pianeta.

I presupposti da cui parte il pop-rock di “Vorrei che morissi d’arte” prendono slancio dalla descrizione di un presente in uno stato di decadenza emozionale, in cui non c'è spazio per quei sentimenti puri, quelli che crescono spontaneamente senza retorica né costruzioni ("Vorrei che morissi d’arte/ frantumarti il cranio di poesia/ a colpi d’emozione/ sfondare il vetro dei tuoi sentimenti/ e regalarti un’occasione nuova"). In questo teatro delle apparenze, il primo personaggio del disco ("Figlio di nessuno") ci viene presentato come un vagabondo che gira per la città suonando la tromba, senza voler nulla in cambio. Nel mezzo dei rumori tipici della strada, egli rappresenta l'idea di un'arte libera e gratuita, ma anche il topos dello scemo del villaggio, vittima dei pregiudizi; quello di un diverso che, nonostante tutto, ama la gente in un tempo dove "la gente non si ama".

Mico Argirò cambia ancora volto con "Saltare", una ballata acustica in cui vengono incorporati i suoni classici di un viaggio, dagli altoparlanti della stazione ferroviaria ai fischi dei treni che passano. In posizione strategica, nel cuore del disco, il cantautore ha poi voluto porre "Money", come centrale nella nostra era consumistica è il ruolo che rivestono i soldi e l'economia. Dopo essere sceso in strada, Mico Argirò ci racconta quindi la storia di un potente, di un uomo che ha il "destino del mondo sul mignolo" mentre fuori infuria la crisi; un tema scottante che viene alleggerito dai ritmi reggae e da una breve e rallentata citazione della più nota “Money” dei Pink Floyd. Gli stessi destini ineluttabili si possono riscontrare anche nella docile serenata di "Chissà se tornerà", la storia di un anziano seduto su una panchina in attesa di qualcuno, l'ennesimo Godot che mai arriverà. Anche in questo caso, agli strumenti utilizzati vengono mescolati i rumori della vita quotidiana, quelli che ormai ci scorrono indifferenti.

Un altro personaggio è quello de "Il polacco", primo singolo del disco, che narra la vera storia di un viaggiatore senza una meta, portato in musica da un mix di stili diversi (ottoni est-europei, chitarra elettrica, cajòn peruviano, ritmi cilentani). Se "Il polacco" incarna tutti gli spiriti liberi, coloro che non seguono gli schemi, l'ultima traccia ("Lo scacchista") rappresenta, invece, l'inno dei calcolatori e degli arrampicatori sociali, di chi sa sempre che strada sta prendendo e, soprattutto, dove vuole arrivare. L'album si chiude così ricollegandosi al primo brano, chiarendo chi è il destinatario definitivo dell’augurio-minaccia del titolo e ricordando all'ascoltatore quanto ci sia bisogno di un ritorno alla semplicità.

31/10/2016

Tracklist

  1. Vorrei che morissi d'arte
  2. Figlio di Nessuno
  3. Saltare
  4. Money
  5. Chissà se tornerà?
  6. Il polacco
  7. Lo scacchista

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