Nemrud

Nemrud

2016 (Rainbow45 Records)
space-rock, progressive

Per coloro che non conoscono i Nemrud, bisogna innanzitutto sottolineare come il loro progressive si avvalga di forti connotati psichedelici e space-rock, ma anche delle tradizioni autoctone della loro terra. La Turchia, del resto, non è rimasta immune all'invasione del Re Cremisi: soprattutto negli anni 70, il progressive ha vissuto nella penisola anatolica un grande periodo d'oro, con personaggi locali come Erkin Koray, Cem Karaca e Barış Manço. Tuttavia, il dominio del rock progressivo ha cominciato a perdere gradualmente la sua influenza, scontrandosi con l'ascesa del punk e della new wave. Ma, siccome il tempo è una ruota che gira, negli anni 90 il genere ha riacquistato autorevolezza e un nuovo prefisso ("neo-progressive"), lanciando anche la Turchia in prima linea con gruppi come i Replikas e, appunto, i Nemrud.

Per il nuovo disco omonimo la formazione ha cambiato un tassello e, accanto all'immancabile leader Mert Göçay (chitarra, voce), Mert Topel (tastiere) e Mert Alkaya (batteria), troviamo la new-entry Levent Candaş (basso). La discografia del quartetto annovera tre soli concept-album in studio, tutti però quantomeno interessanti. Il trittico condivide molte caratteristiche comuni, come ad esempio le lunghe composizioni e il numero esiguo di canzoni incluse in ciascuno dei loro album. Sulla stessa scia, "Nemrud" conta solo quattro tracce totali, ognuna delle quali si dipana tuttavia per oltre 11 minuti, grazie ai lunghi intermezzi strumentali. Una scelta che si collega a quella del classico rock progressivo, ma che si alimenta anche di impulsi eterogenei; già la scelta di registrare a Istanbul e mixare il materiale a Milano la dice lunga sulle aspirazioni internazionali del gruppo, che affida la copertina all'artista turco Betül Atli, già artefice di diverse cover per noti artisti dei primi anni 70. Il soggetto del nuovo disco omonimo è proprio il sacro monte Nemrut, simbolico punto di intersezione tra l'Oriente e l'Occidente, immobile e muto testimone di guerre infinite.

In principio c'era solo il silenzio, poi dal nulla appare Nemrud che divide la Terra in due parti; inizia così la terrificante cosmogonia di "Gods Of The Mountain", con il flusso della musica che segue poi una certa uniformità strutturale, nonostante i continui cambi di tempo. Un'aria di sortita mistica e arcana, perfetto ritratto su pentagramma di uno dei monti più sacri della Turchia; proprio qui, infatti, il re Antioco I costruì una tomba-santuario che dominava le valli dell'Eufrate, ponendovi colossali statue di dei persiani e greci, oltre che aquile, leoni e due enormi sculture rappresentanti lo stesso re. Queste misteriose immagini sono le protagoniste di "Lion Of Commagene", sinfonia molto oscura e distorta, con l'organo di Topel che si incontra con la drammatica voce di Göçay.

Troviamo in seguito una parentesi più propriamente jazz-rock in "The Euphrates", che dipinge il monte apparentemente perfetto di Nemrud, un massiccio che è però circondato da guerre, malattie e violenza. L'inganno viene smascherato in ultima analisi da quella che con ogni probabilità è la migliore traccia del disco, la caduta degli dei di "Forsaken Throne". Coi suoi arabeschi d'apertura, tra Camel Pink Floyd, il finale si sviluppa come una ballata rassegnata sul mondo, elargendo qualche amara riflessione e ricordando all'ascoltatore che "qualcosa deve cambiare, prima che sia troppo tardi".

02/09/2016

Tracklist

  1. Gods of the Mountain
  2. Lion of Commagene
  3. The Euphrates
  4. Forsaken Throne






Nemrud sul web