Patrizio Marrone

Conversazioni con le cose senza nome

2016 (Stradivarius)
contemporanea

Patrizio Marrone (nato a Napoli nel 1961) è arrivato relativamente tardi a raccogliere alcune delle sue più rappresentative composizioni in un'antologia organica, qual è appunto questa "Conversazioni con le cose senza nome", che prende il titolo da uno dei lavori meglio riusciti della sua produzione. Marrone vanta studi di composizione conseguiti seguendo alcuni corsi di Giacomo Manzoni e di Franco Donatoni. Ultimamente ha ricoperto il ruolo di direttore del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli e tuttora tiene una cattedra in composizione nello stesso istituto.
La musica di Marrone è piuttosto unica nel suo genere, nel senso che si pone perfettamente in bilico tra ricerca strumentale e tradizione armonica. Per i puristi, forse la sua arte è troppo legata alla melodia per poter essere definita avanguardia, mentre per altri vale l'esatto contrario, ovvero, troppo "complicata" per poter essere considerata musica neo-classica.

"Conversazioni con le cose senza nome" fu scritta inizialmente per solo pianoforte nel 1994 (infatti, i primi tre movimenti sono per tale strumento), mentre solo anni dopo il compositore decise di aggiungere altre due parti, una per violino e l'altra per chitarra acustica. Il titolo della composizione è piuttosto esplicativo, trattandosi sostanzialmente di soliloqui strumentali per un unico esecutore.
Particolarmente pregnanti sono i primi tre movimenti per pianoforte, soprattutto il secondo, dove pare di ascoltare al rallentatore le "Gnossiennes" (1890) di Erik Satie. A tale rarefazione sonora si contrappongono invece i più vivaci movimenti della prima parte e, specialmente, la scorribanda pianistica della terza. Il pianista Ciro Longobardi (che avevamo già avuto modo di apprezzare nella sua esecuzione di "Exercises d'Improvisation" di Luc Ferrari e membro, tra l'altro, dell'Ensemble Dissonanzen) è particolarmente abile a mettere in risalto tutte le sfumature e i chiaroscuri di tali pezzi.

Il quarto movimento di "Conversazioni" (2010), per violino, inizia come una romanza per poi terminare con un virtuosistico capriccio. L'ultima parte (la quinta, realizzata nel 2014) è stata scritta per chitarra classica e, verosimilmente, porta il sottotitolo di "quasi una passacaglia".
Più di contorno è invece l'elegia per flauto dolce di "Non è una carezza" (2007), mentre assolutamente meritevoli di attenzione sono le due composizioni per quartetto di sassofoni, ovvero l'"Adagio" (2005), che riprende in parte il tenue minimalismo da camera di Philip Glass (in particolare quello di "Glassworks", del 1982) e il "Rondò" (2005), che fa tesoro anch'esso del minimalismo, ma quello incalzante di Michael Nyman.
In entrambi i casi, però, tali influenze vengono comunque filtrate attraverso una sensibilità squisitamente ascrivibile a una mente di chiara ascendenza classico-contemporanea (in poche parole, c'è sì della melodia riconoscibile, ma non troppo).

A questa bella uscita discografica fa da contraltare quella (pure d'esordio) del più giovane compositore friulano Stefano Bulfon (influenzato tanto dal serialismo di Jean Barraqué che dal dadaismo di Sylvano Bussotti), "Studio di Trasparenze", uscita ora sempre per la Stradivarius. Bulfon è da considerarsi una delle punte di diamante tra i compositori della sua generazione (come Marco Momi ed Emanuele Casale), anche per affinità stilistico-artistiche.

23/04/2016

Tracklist

  1. Conversazioni con le cose senza nome n. 1 (1994)
  2. Conversazioni con le cose senza nome n. 2 (1994)
  3. Conversazioni con le cose senza nome n. 3 (1994)
  4. Non è una carezza (2007)
  5. Conversazioni con le cose senza nome n. 4 (2010)
  6. Conversazioni con le cose senza nome n. 5 (2014)
  7. Adagio (2005)
  8. Rondò (2005)


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