Paul Mosley

The Butcher

2016 (Folkwit Records)
chamber-folk-opera

La complessa e sempre più articolata storia della musica rock contemporanea ha messo in crisi molte firme illustri del giornalismo musicale. Critici dallo scibile onnisciente hanno man mano lasciato all'ardimentosa gioventù del web e di Rym il compito di raccontare l'enorme mole di musica diffusa da Bandcamp o Spotify, riducendo l'analisi a una sequenza di "mi piace" o "non mi piace", anticipando di fatto il consenso in stile Facebook.

Quanto questo stia riducendo la valenza culturale e sociale dell'arte è storia nota: per coloro che vedono il futuro della musica affidato a un'incognita costante, il rifugio nel passato resta l'unica fonte d'appagamento possibile.
Accantonato il concetto di meraviglia, i sensi navigano in questo moderno oceano di suoni come nave in tempesta, approdando solo in porti sicuri; vecchie e nuove icone del firmamento musicale raccolgono le ultime briciole di una passione millenaria, riducendo ancora di più i margini di un possibile rinnovamento culturale.
Per chi ancora crede nella purezza dell'arte e nella sua funzionalità sociale, non resta che affidarsi a quei pochi valenti artigiani del suono che procedono nella loro ricerca di un elemento comune tra il fascino transitorio e quello imperituro.

Non si tratta di capire se l'ultimo disco di Bob Dylan sia più o meno bello del precedente, né se Anohni possa rinnovare il fascino di Antony and the Johnsons, tantomeno se il nuovo ritorno a sorpresa (?) dei Radiohead abbia la stessa valenza epocale di "Ok Computer" o "Kid A", qui si tratta di comprendere se si è pronti a restare stupiti e incantati dalla musica che riempie quotidianamente il nostro vivere quotidiano.
Non cerchiamo risposte superflue, fermiamoci invece a riflettere sulla necessità della critica musicale odierna: se quaranta o cinquant'anni fa avessimo usato la saccenza e il distacco analitico contemporaneo, forse molte delle cose che oggi apprezziamo le avremmo trovate futili o pretestuose. Quelle meravigliose creazioni degli anni 60 e 70 le abbiamo vissute in pieno, regalando loro migliaia d'ascolti, affezionandoci anche ai difetti.
Chi invoca la mediocrità della musica corrente invoca invece la mediocrità del fruitore moderno, il cui approccio fugace e distratto spesso sacrifica le risorse migliori.

Ho speso questo lungo discorso iniziale per dirvi che se avete voglia di vivere la musica come un'affascinante esperienza sensoriale e cerebrale, "The Butcher" merita la vostra attenzione.
Nel nuovo album di Paul Mosley si celebra uno stato dell'arte che non segue le regole classiche del prodotto discografico: il musicista inglese mette in atto un'autentica provocazione artistica senza corteggiare l'estetica dell'avanguardia e della sperimentazione, ma mettendo in campo la nobilitazione della cultura popolare, attraverso quegli schemi che portarono nelle stanze dei Re la musica del popolo, quella che volgarmente chiamiamo folk.

Come quando Neil Hannon mise piede nelle stanze dell'operetta alla Noel Coward, o Kate Bush affrontò la "Nona Onda", così Paul Mosley sceglie la strada dell'opera rock, anzi della folk-opera, ridando nobiltà alla musica pop alla stregua di novello Harry Nilsson.
Con un cast di oltre venti musicisti, "The Butcher" racconta la storia di un uomo che scopre all'improvviso il lato oscuro e malvagio della sua identità. Da qui comincia il difficile e incerto percorso verso la redenzione e la speranza.

Abile narratore e compositore di rara intelligenza e classe, Mosley si muove con grazia all'interno di una struttura sonora complessa, alternando minuetti tardo-rinascimentali ("Shadows On The Wall") a rumbe folk dal sapore mediterraneo ("Satellites"), intonando festose pagine circensi dai raffinati risvolti strumentali ("The Butcher") e brani vaudeville appena baciati dal blues ("A Lighthouse Part 2").
Fiati, archi, arpe e percussioni danno forma a sonorità originali, un delizioso meltin pot sonoro dove uptempo incalzanti come un treno in corsa sposano le atmosfere da rock-opera con toni jazz, neoclassici e folk ("Soul to Save") e con ariose note pop ("My Armour").

Pregevoli interludi sonori ("Introducing", "Darkness", "Light") fungono da collante tra le tracce più descrittive e le neonate perle liriche, che spesso evocano le pagine più belle di Nick Drake, come il delicato chamber-folk di "You Don't Need Love" o la superba "The World Is Flat", dove le orchestrazioni procedono tra citazioni di Robert Kirby e strali di folk psichedelico, dando forma a un'inattesa jam session chamber-folk.
La voce di Mosley è incisiva ed energica, sempre pronta a sottolineare sia i momenti più drammatici ("No Hound Dog On Your Trail") che quelli più svogliati ("Nothing In The Desert"), sfiorando sia il fascino della purezza ("She Has a Mystery") che la seduzione dell'ambiguità ("The Rage").

Jamie Lawson, Esther Dee, Moses, Carolyn Mark, Josienne Clarke e musicisti già collaboratori di Florence & The Machine, Feist, Benjamin Clementine e Patrick Wolf danno man forte a Paul e alla sua Red Meat Orchestra, consegnandoci con "The Butcher" uno dei più vivaci e appassionati album del 2016.

11/06/2016

Tracklist

  1. A Lighthouse
  2. Soul To Save
  3. The World Is Flat
  4. Introducing
  5. The Butcher  
  6. Shadows On The Wall
  7. She Has A Mystery
  8. Chattering Birds
  9. You Dont Need Love
  10. Satellites
  11. A Lighthouse part two  
  12. My Armour
  13. No Hound Dog On Your Trail
  14. Nothing In The Desert
  15. Darkness  
  16. Galaxies
  17. Light  
  18. The Rage
  19. Wolves
  20. The Fury


Paul Mosley sul web