Pet Shop Boys

Super

2016 (x2 Recordings)
synth-pop

Il secondo capitolo di una trilogia è quasi sempre il più difficile da realizzare, anche e soprattutto per la difficoltà di ripetere l'effetto sorpresa che ha catalizzato l'attenzione sulla prima parte del lavoro: una regola a cui non sfugge nemmeno "Super", un evidente lavoro di transizione (in attesa di un terzo album che probabilmente rallenterà il tasso di Bpm) che nonostante il ritorno in cabina di regia di Stuart Price non riesce a ripetere il miracolo di "Electric".
Il ritorno a canzoni più tradizionali e dai minutaggi più brevi finisce infatti per fare a pugni con le aggressive atmosfere Edm già sperimentate nel predecessore. Viene invece meno quel bel lavoro di distensione degli arrangiamenti che aggiornava l'illustre modello di "Introspective" e che aveva dato notevole coerenza e compattezza all'album del 2013.

Come a voler evitare una somiglianza eccessiva con "Electric", in "Super" Tennant e Lowe reintroducono un po' a forza una manciata di lenti d'atmosfera, che peraltro sono a conti fatti le cose migliori del disco: su tutti "The Dictator Decides", basata su un frammento di Vivaldi, su una parte vocale curiosamente vicina al Dylan di "Oh Mercy" e su un classico paradosso storico-sociologico tennantiano (può esistere un dittatore che, stanco del suo ruolo, chieda di essere spodestato da una rivoluzione?), mentre la rarefatta "Sad Robot World" suona come una outtake dei sottovalutati Royksopp di "Senior".
Anche su questi brani più meditati, tuttavia, Price ripropone il suo marchio di fabbrica, il suo campionario di distorsioni, loop e crescendo che finisce per apparire fuori luogo e anestetizzare paradossalmente il potenziale di molti pezzi, soprattutto nella seconda metà del disco. Tanto le più veloci "Undertow", "Say It to Me" e "Burn" quanto la conclusiva "Into Thin Air" (un classico midtempo escapista di quelli che riescono solo a Tennant e Lowe) rimangono così zavorrate da ritmiche prevedibili e dall'utilizzo martellante e oltremodo ripetitivo dei delay vocali, e difficilmente entreranno nei classici del repertorio Tennant-Lowe.

Resta ammirevole il colpo di reni che i Pet Shop Boys hanno voluto dare alla loro musica dopo la criticatissima melina di "Elysium". L'impressione però è di un disco senza grandi guizzi né cadute, che cresce con gli ascolti ma non rimarrà tra le pagine più memorabili del duo. Lo sguardo di Tennant e Lowe si è chiaramente orientato stavolta verso il periodo meno felice della loro carriera, ovvero i tardi anni 90 di "Bilingual" e "Nightlife" (il primo citato nella piano house manierista del singolo "The Pop Kids" e nell'esperimento reggaeton-electro-folk di "Twenty-Something", il secondo nella noiosa tardo-trance di "Inner Sanctum" e nella house-country schizoide dell'iniziale "Happiness"), ricadendo curiosamente nei vuoti espressivi e nella mancanza di una direzione sonora precisa che minavano l'efficacia di quei due album.

16/04/2016

Tracklist

  1. Happiness
  2. The Pop Kids
  3. Twenty-Something
  4. Groovy
  5. The Dictator Decides
  6. Pazzo!
  7. Inner Sanctum
  8. Undertow
  9. Sad Robot World
  10. Say It To Me
  11. Burn
  12. Into Thin Air

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