Sorge

La guerra di domani

2016 (La Tempesta)
spoken word, elettronica

È giunto il momento di sedersi a un tavolo e fare i conti in tasca alla vita. Perché per affrontare la guerra di domani bisogna prima analizzare le perdite e le conquiste, quel che si è lasciato per strada e ciò che resta.
Può darsi che Emidio, e noi con lui, non abbia ancora chiuso con i fantasmi del Novecento - e "Notturno Americano" ne è la sofferta dimostrazione - ma è anche arrivata l'ora di prendersi qualche rivincita sul presente, su chi scommetteva che non ce l'avremmo fatta, sui noi stessi di una volta. Quarantotto anni vissuti e raccontati con disillusione, ma senza sminuire ciò per cui vale ancora la pena di guardare avanti.

“Stasera però beviamo”: come ci trovassimo seduti al piano bar dei Nighthawks di Edward Hopper, la voce di “Hancock 96” inizia nella penombra, seppur da subito segnata dai battiti elettronici, tagliati con l’accetta, del giovane producer Marco Caldera, l’altra metà del neonato progetto Sorge; Clementi descrive con pacata eleganza il crepuscolo di divinità profane scese dal palco, ancora quell’America borderline da sempre terra di nessuno - “il bus lì non ferma/ il mondo lì non prende/ l’autista lì non scende” - la “Great Beauty” degli ultimi, stretti l’uno all’altro per non annegare.
E con un balzo nel tempo e oltre l’oceano ci ritroviamo nelle strade di Messina, Catania, Forlì, La Spezia: immagini, odori, sensazioni di un viaggio tra amici e musicisti (“Nuccini”), vecchie conoscenze che si ripresentano nell’incedere quasi rap di “Bar Destino”, perlopiù dovuto al refrain di pianoforte, uno scarno tramite espressivo col quale non siamo abituati a identificare la voce dei Massimo Volume.

Caldera accentua ancor più questa espressione inedita, foggiando alla maniera degli Uochi Toki il minaccioso loop di “Noi facciamo ciò che siamo”: è il monito, la dannazione che Robert Lowell e i maestri letterari professano dall’oltretomba a un “artista minore, non più giovane, che di colpo ha visto il mondo vacillare, che di colpo ha colto il vuoto in uno specchio”.
L’intermezzo strumentale di “Vera in cucina” proietta nuovamente le ombre del viaggio tragico di Carnevali, l’eco del quale avvolge ancora i pensieri del suo alter ego, e “La spiaggia” che vede il cadavere riverso nella sabbia confonde le loro figure: “Eri tu Em[anuel] o sono io [Emidio]?”.
Ma lo scarto tra ieri e oggi si avverte finalmente nella coscienza, nel rito sacrificale di sé che si dispiega in “Accetto tutto”. Con magnanimità l’uomo adulto e vissuto giunge alla piena tolleranza e all’altruismo incondizionato:

Accetto l’invidia, le labbra rifatte/ i salotti buoni, il cibo andato a male [...] accetto tutto, non ho scelta/ oltre il vuoto, la luce spenta/ oltre la morte, Dio ci assolva/ spero non sia stanotte.

“La guerra di domani” ha un duplice finale: il più privato dei ritratti genealogici (“In famiglia”), ricettacolo di cattive abitudini quasi sempre appagate, di sogni lasciati per strada tra la mediocrità e il destino beffardo; e “Quello che ho perso”, ben più amaro congedo dal passato, l’implacabile enumerazione di ciò che non ci appartiene più: la rabbia, il riso, il tempo, Cristo, l’oro, la parola, il senso della storia.
Una moltitudine di certezze rovina intorno alla nostra vicenda personale. Dove sta, quindi, la rivincita? In salotto, dove due bimbe stanno giocando insieme mentre gli ultimi versi escono dalla penna, andando a comporre una nuova immagine condannata a descriverci, almeno per questo momento.

22/02/2016

Tracklist

  1. Hancock 96
  2. Nuccini
  3. Il cerchio
  4. Bar destino
  5. Vera in cucina
  6. Accetto tutto
  7. Noi facciamo ciò che siamo
  8. La spiaggia
  9. In famiglia
  10. Quello che ho perso


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