Nel 2015, la Library of Congress degli Stati Uniti ha insignito Willie Nelson dell’ambito Gershwin Prize. Il buon vecchio Willie, d’altronde, questo premio alla carriera se l’è meritato eccome: da più di mezzo secolo, porta alto il vessillo dell’
outlaw country americano – seppur con qualche inciampo, ma la strada è stata lunga e tortuosa – e si fa autentico portavoce dell’Altramerica. Sempre fedele alla linea, ha fatto della propria vita un ulteriore veicolo attraverso cui trasmettere i messaggi presenti nelle sue canzoni. Pacifista, benefattore dell’America rurale e contadina (spesso affiancato dall’amico e collega
Kris Kristofferson), cultore di tutti quei beni che Madre Natura mette a disposizione dell’umanità, ha dichiarato ultimamente di voler morire facendo musica. Alle parole seguono i fatti, poiché Nelson continua a pubblicare album senza soluzione di continuità.
Quest’omaggio a George Gershwin, pensato a seguito del premio ricevuto, è perciò l’ultimo (per ora e, con ogni probabilità, ancora per poco) episodio di una generosa carriera.
Tra la copiosa discografia del compositore/pianista - figura imprescindibile di quel filone di “musica leggera colta”, poi degnamente proseguito da
Burt Bacharach – Nelson sceglie undici brani, trovando la giusta ispirazione nelle interpretazioni di Frank Sinatra.
Ciò che ne viene fuori è un album di gusto, elegante, volutamente compassato. Gli arrangiamenti vengono riproposti privi di sostanziali variazioni e il
crooning di Willie Nelson ben si sposa – e ciò non sorprende poi tanto – con la compostezza propria delle composizioni.
Tutto è al suo posto, ma di slanci non v’è traccia. A donare smalto al lavoro ci pensa Mickey Raphael, la cui armonica a bocca s’insinua piacevolmente tra la chitarra e il cantato di Nelson; e le comparsate di
Sheryl Crow (“Embraceable You”) e
Cyndi Lauper (“Let’s Call The Whole Thing Off”). Particolarmente efficace l’intervento di quest’ultima, che dona al brano spensieratezza e simpatia (non dispiacerebbe ascoltarla nuovamente in queste vesti).
Il classico “Summertime” – da recuperare al volo, tra le tante, la versione che ne fece
Janis Joplin – chiude un disco riuscito (date le intenzioni) e dallo spirito vagamente natalizio. Seppur prescindibile, può rivelarsi un piacere averlo tra gli scaffali quando, in determinate serate, c’è bisogno di atmosfera.
12/04/2016