L’epopea discografica postuma di Frank Zappa è divenuta, negli ultimi anni, sempre più caotica e di dubbio valore: con la scusa di avere tra le mani un archivio la cui quantità di materiale audiovisivo (inedito o meno) è incalcolabile, la famiglia si è dimostrata tanto devota al lascito del vulcanico padre quanto, forse, ben contenta di poter mantenere attivo un mercato al quale attingono regolarmente diverse generazioni di estimatori. Ogni anno, quindi, vengono alla luce registrazioni live, fondi d’archivio e raccolte tematiche tutt’altro che essenziali (nell’anno delle elezioni americane, il compendio “Frank Zappa For President” non può essere una coincidenza).
In tutto questo, paradossalmente, il lato lodevole della questione sta nella progressiva riedizione di album fondamentali della sua carriera, pratica sinora dedicata al periodo pionieristico delle Mothers Of Invention. Era l'epoca di quelli che lo stesso Zappa definì “project/object”, opere di natura estremamente eterogenea impossibili da classificare, entro cui la sola presenza di temi ed elementi ricorrenti può garantire l’esistenza di un seppur labile trait d’union.
Per questa serie di riferimento erano già stati presentati i remaster onnicomprensivi di “Freak Out!” (“MOFO”) e del dittico formato da “Lumpy Gravy” e “We’re Only In It For The Money” (“Lumpy Money”). Il nuovo set di 3 cd “Meat Light” risponde alla domanda: “Quale versione di 'Uncle Meat' dovrei tenere nella mia collezione?” – nel dubbio, ovviamente, quella dove non manca nulla di ciò che è utile a una panoramica completa sullo stravagante magnum opus.
All’uscita in doppio Lp del 1969 (Bizarre e Reprise Records) ha fatto seguito un primo remaster in formato cd nella seconda metà degli anni 80 (Rykodisc, Barking Pumpkin), rimpolpato per l’occasione con un’ampia traccia audio dell’omonimo film portato a compimento nello stesso periodo (di fatto, un video archival ufficiale). In sostituzione di quest’ultimo (forse trascurabile) bonus, lo scintillante “Meat Light” documenta la sequenza originale ideata da Zappa nel periodo di gestazione del monstrum, registrato a cavallo tra 1967 e 1968 e poi massicciamente rimaneggiato con effetti, cut-up e sovraincisioni.
Semplificando, il concetto soggiacente a questo come agli altri “project/object” è che, cambiando l’ordine dei fattori o aggiungendo qualche analogo frammento, il risultato sia per approssimazione invariato, accettando con entusiasmo tipicamente dadaista ogni nuovo e imprevedibile accostamento di materiali sonori. Siamo nel pieno della fase di transizione tra i goliardici canzonieri freak e le grandi composizioni per orchestra jazz (e non): più che uno spartiacque, “Uncle Meat” è davvero un gesto artistico che fa storia a sé, come un ingombrante ready-made di Rauschenberg incastonato tra le frenetiche tournée delle Mothers.
Qui Zappa dà libero e totale sfogo alle sue manie ricorrenti, rimettendo mano all’elettronica per accelerare e cambiare pitch a intere tracce audio, come nello pseudo-classico “Dog Breath, In The Year Of The Plague” e relative “variations”, o nell’esilarante doo-wop di “Electric Aunt Jemima”, strascico degli alter ego immaginari Ruben & The Jets; e poi estratti live fracassoni (“God Bless America”), spoken word surreali, un lento a tema verdura (“Mr. Green Genes”) e sessioni di pura avanguardia fusion, prima della suite-patchwork “King Kong”, leggendario lato D del formato vinilico. Il tutto è stato ricostruito e restaurato dai nastri originali con una cura amorevole per il sound, encomiabile per un prodotto così ameno, eclettico e prossimo al mezzo secolo d’età.
Tra il secondo e il terzo cd troviamo dunque la versione alternativa dell’opera, di durata pressoché equivalente, divisa convenzionalmente in quattro parti che allo stesso modo ne avrebbero costituito le facce su Lp. La cosa migliore da fare, almeno per chi già conosce a menadito “Uncle Meat”, è approcciare questo “remix” a digiuno dall’originale per goderne da una prospettiva davvero nuova e sorprendente sia sui pezzi arcinoti che sugli skit inediti, tra cui l’irruzione di un agente di polizia bacchettone nella sala prove della band (“Cops & Buns”).
Arriviamo infine ai succulenti extra “From The Vault”: single version, outtake, varianti e avanzi d’archivio (tra cui l’assolo di chitarra a velocità normale di “Nine Types Of Industrial Pollution”) il cui pregio principale è di dare ancor più risalto allo stellare impianto strumentale: presi singolarmente, i groove fondanti di certi episodi oggi ci ricordano i colti campionamenti di Flying Lotus riletti dai BADBADNOTGOOD, schegge di arrangiamenti geniali la cui ricchezza e fervore si manifesteranno pienamente nei due capolavori immediatamente successivi, “Hot Rats” e “Burnt Weeny Sandwich”. I fiati e gli altri occasionali elementi classici rappresentano invece i personali rimandi zappiani all’immaginario creativo di Stravinskij e di Varèse, maestri ripetutamente omaggiati nel corso di tutta una carriera sino alla trionfale serata di gala “The Yellow Shark”.
In un periodo in cui si fanno strada nuovi audiofili, nostalgici e puristi delle edizioni deluxe – spesse volte un profluvio di inutili appendici, tra demo e sessioni scientemente occultate – la reissue di “Uncle Meat” si distingue per criterio selettivo e qualità sonora: il trattamento che senz’altro meritava, e che ci auguriamo possa fare da matrice per altri pregnanti “studi” dedicati alla sconfinata produzione dell’eroe americano.
21/12/2016
Cd 1 - Uncle Meat: Original 1969 Vinyl Mix
Cd 3