Dotata di un volitivo timbro vocale dalle evidenti similitudini con quello di Kate Bush, Lisa Gerrard e Liz Fraser, Anneli Drecker si è guadagnata la stima di artisti come Hector Zazou, Jah Wobble, Ketil Bjørnstad, Simon Raymonde, Motorpsycho e Gavin Friday, ha condiviso ben due tour con Morten Harket e i suoi A-ha, ed è nota anche come co-autrice e vocalist dei Röyksopp. Pubblicato nel 2015, “Rock & Straws” ha segnato il ritorno discografico da solista dell’ex-voce dei Bel Canto, dopo ben dieci anni di assenza. Un progetto nel quale l'artista ha in parte abbandonato le atmosfere elettroniche e dream-pop, in favore di un delicato chamber-folk che ben si adattava alle poesie di Arvid Hanssen, la cui opera letteraria è nuovamente oggetto del nuovo disco, “Revelation For Personal Use”.
Con una struttura più complessa e coraggiosa, Anneli Drecker mette in piedi la miglior prova solista della sua carriera, associando alle ottime orchestrazioni della Arctic Philarmonic uno stuolo di musicisti pronti a trasgredire i raffinati landscape sonori dell’autrice norvegese. L’unico scoglio da superare per l’ascoltatore resta il richiamo a volte troppo esplicito alla voce di Kate Bush, anche se brani come “Snow”, “Blue Evening” e “Waiting Time”, pur rafforzando le similitudini, nello stesso tempo sottolineano una scrittura personale e ricca di dettagli. Ed è proprio nell’iniziale “Blue Evening” che affiorano i primi segnali della raggiunta maturità espressiva: tra le fiabesche e romantiche sonorità di piano e orchestra sottolineate da raffinate evoluzioni vocali, si fanno strada sonorità shoegaze, che graffiano via quella patina di prevedibilità di molte opere similari.
Anche il fascino crepuscolare di “Raindrops” è turbato da interessanti divagazioni strumentali che evocano Cocteau Twins e Durutti Column, allo stesso modo il crescendo di “Sun Wave” si agita tra un pizzicare d’archi e flussi noir, pronti a contaminare l’atmosfera apparentemente gioiosa del brano. Più decise le pulsioni rock-oriented che scuotono la grandeur orchestrale e l’intreccio di piano e chitarra elettrica di “Days”, un brano dove l’elettronica torna finalmente a pulsare, librandosi tra le geometrie ritmiche minimali e l’articolata performance dell’artista, che alterna toni delicati e descrittivi a grintose e ardimentose distorsioni vocali, suggellando uno dei momenti più ricchi di malinconico e malsano pathos.
Disco destinato a essere fagocitato dall’enorme quantità di uscite giornaliere, il nuovo album di Anneli Drecker merita invece attenzione, soprattutto per quella autenticità espressiva che si agita dietro le sognanti e a volte enigmatiche armonie, sempre pronte a mettere a rischio la propria identità romantica perfino con contaminazioni multietniche (la title track), le quali anticipano potenziali sviluppi futuri.
04/08/2017