Assisted suicide
She dreams about dying all the time
She told me she came so close
Filled up the bathtub and put on our first record
(from "Creature Comfort")
L'eccesso di contenuti disponibili sul web, che causa le riduzione nella propensione all'approfondimento, la spasmodica ricerca di dare un senso compiuto alla propria quotidianità, l'urgenza di avere tutto e subito, con conseguente azzeramento del gusto per l'attesa e per la sorpresa: queste sono alcune delle tematiche affrontate dagli
Arcade Fire nel loro quinto album in studio che prende il titolo, per l'appunto, di "Everything Now". Quel gusto per la sorpresa che loro stessi hanno drasticamente annientato, mettendo in circolazione in anteprima quattro nuovi brani, scaglionandone la diffusione nelle settimane che hanno preceduto la pubblicazione ufficiale del disco, presentandole anche dal vivo durante le date del tour estivo.
Fan e curiosi si sono pertanto potuti orientare anzitempo riguardo il nuovo progetto di Win Butler e soci, e i commenti pseudo-intellettualoidi che abbiamo scorto in giro non sono stati particolarmente entusiastici nei confronti del materiale. Ma la sostanza che ora ci ritroviamo fra le mani riserva non poche sorprese.
Molto meno prolisso di "
Reflektor", dal quale si distingue anche per un maggior assortimento di suoni e influenze coi quali il tradizionale
sound degli Arcade Fire si contamina, "Everything Now" conferma il rifiuto della band di riscrivere all'infinito un "
Funeral" o un "
The Suburbs" e l'attitudine a guardare oltre, a riscrivere ogni volta un disco diverso, caratterizzandolo in maniera forte, con un tema centrale, sia dal punto di vista sonoro che testuale, accollandosi senza timori - ma forse loro se lo possono anche un pochino permettere - il rischio di non piacere a molti fan della prima ora.
"Everything Now" è senz'altro il lavoro con maggior
groove finora realizzato dagli Arcade Fire, i quali non rinnegano quella deriva pop-dance che oggi appare più a fuoco non solo rispetto all'altalenante
predecessore, ma anche rispetto ai risultati ottenuti da tanti gruppi coevi (si pensi ai
Tame Impala in primis) che hanno deciso di immergersi nei
beat electro.
Il progetto dei canadesi resta una spanna più in alto, soprattutto in virtù di numerose belle canzoni che lasciano intatta l'ormai proverbiale loro predisposizione per la
grandeur. Sì, perché al di là di tutto, tracce come "Good God Damn" o "Put Your Money On Me" sono gran belle canzoni, perfettamente coniugate con la nuova estetica del gruppo, posizionate con senso di sfida verso fine
tracklist, quando la stragrande maggioranza dei dischi odierni tende qualitativamente a calare in maniera drammatica.
Il passo
dub delle due "Everything Now" poste ai margini dell'album, in un gioco di incastri senza fine destinato a chiudersi e ricominciare all'infinito, delimita il
mood generale, ma l'approccio da
dancefloor è confermato anche in "Signs Of Life" e nella
disco in falsetto di Régine in "Electric Blue".
La schiera di
producer assoldati aiuta la band a cercare nuove direzioni musicali, nascono così le parentesi
dub/rocksteady di "Peter Pan" e "Chemistry" (non dimentichiamoci che Régine ha origini caraibiche e ha sempre influenzato in qualche modo la scrittura di Butler e che al remix di "Flashbulb Eyes" collaborarono Dennis Bovell e Linton Kwesi Johnson), i sogni in coloratissimo hardcore-punk di "Infinite Content" (nella seconda parte, quella con l'
underscore, la canzone viene trasformata abilmente in una
country-folk ballad à-la Wilco!), la straniante "We Don't Deserve Love" che sancisce di fatto la chiusura del lavoro con la partecipazione alla
slide guitar di
Daniel Lanois.
Ma tutto quel che sembra gioiosamente pop lo è solo in apparenza: i testi, oltre che trattare dell'amore ai tempi del consumismo sfrenato, passano al setaccio paure e propensione al suicidio, tema quest'ultimo trattato in maniera forte in due tracce, "Creative Comfort" e "Good God Damn", nelle quali ritorna la medesima scena della vasca da bagno e di un disco che suona, il sottofondo di una tragedia che si consuma fra le mura domestiche.
Torna quindi lo stratagemma di trattare temi duri e impegnati rivestendoli di una patina (apparentemente) frivola e sbarazzina, e in effetti il lavoro non potrebbe essere correttamente interpretato prescindendo dagli aspetti testuali.
Resta intatto l'approccio massimalista: tutti gli spazi possibili vengono saturati da suoni e strumenti, con quella tendenza a costruire barocchismi epici da
stadium rock, da sempre loro prerogativa. Poi, sì, potremmo anche ritrovarci tutti d'accordo nel ritenere "Everything Now" un lavoro tutt'altro che indispensabile, qualcuno gli assegnerà persino la palma di più debole della loro discografia.
Ma pur commettendo qualche errore e non riuscendo a confermarsi sui memorabili livelli degli esordi, gli Arcade Fire con "Everything Now" concretizzano lo sforzo di slanciarsi oltre lo steccato di un indie-rock ormai svuotato di qualsiasi significato. Mimetismo, contaminazioni e qualità della scrittura li portano a ridefinirne i dettami, distanziandosene un attimo prima della sua completa dissoluzione.
You want to get messed up?
When the times get rough
Pull tour favourite record on baby
And fill the bathtub up
You want to say goodbye
To your oldest friends
("Good God Damn")
30/07/2017