Studioso di musica ed eterna promessa: Bill Baird, così come la sua musica, non si può dire che manchi di intelligenza. E questo “Easy Machines”, realizzato insieme a un contemporaneo, ulteriore album solista (“Baby Blue Abyss”, di tenore del tutto diverso), ha tutti i difetti e i pregi di un disco coltivato “nell”'intelligenza, che vive prima di tutto per il piacere di chi l’ha composto ed eseguito.
Ballate da cameretta dallo spirito estremamente classico (“Never Go Home Again” e “Heaviness Of Flame” numeri da Beatles solisti, “Telephones” omaggia Harry Nilsson), dolci power-pop all’organetto (“You’re Someone Else”), arpeggiate alla Cohen (“Be Yourself”), rilucenti hammer-on da Americana per intenditori (il country di “Shape Shifting Game”, “Quicksilver Slip”), le canzoni di “Easy Machines” sono tanto colte quanto elusive, sfuggenti, curate di dettagli dei quali non importerà a nessuno.
Sia il sound che lo spirito della scrittura del disco evocano così un classico dimenticato, con una sensazione però di transitorietà, in presenza di brani che cercano prima di tutto di non farsi notare, sia nell’estetica che nella scrittura, entrambe sostanzialmente impersonali e da “osservatore”-studioso di musica. Per ora solo un rinnovo di un’eterna promessa.
01/09/2017