È conciliante come il tepore della fiamma in un giorno d’inverno, malinconico come un tramonto che promette l’alba, cristallino come il ghiaccio e perfino piacevole e arioso come un qualsiasi disco pop. Ma non è nemmeno questo il nuovo album del norvegese Petter Carlsen.
“Glimt” è espressione di un talento raffinato e misterioso, che gioca con un campionario di emozioni musicali variegate e spesso legate al mondo onirico. C’è una cura degli arrangiamenti che rasenta la perfezione formale dei Sigur Ros (“Ekko”, “Majestet”), ma non è difficile rintracciare quella poesia crepuscolare e imperfetta che rendeva magica la rigidità lirica di Durutti Column (“Bensin”) o le esternazioni shoegaze dei Slowdive (“Gnist”).
Petter Carlsen è un abile seduttore, l’esiguità delle sue composizioni si arricchisce di dettagli (“Tynnslitt”), di innocue irregolarità armoniche che tengono desta l’attenzione (la title track), ed è oltremodo curioso avventurarsi in queste malinconiche miniature liriche pensando all’altra faccia di Carlsen come musicista, ovvero alla sua esperienza con i Pil & Bue: band norvegese che incide per un'etichetta hard-rock e metal.
In questa avventura solista Carlsen preferisce però abbandonare la potenza del volume, scegliendo un terreno sonoro affine al post-rock, senza comunque indugiare in toni narcolettici.
“Glimt” è un album affascinante, un disco da conservare con cura per quei momenti in cui si ha bisogno di un attimo di riflessione e di pace acustica senza diventare preda della malinconia. Accogliente.
06/02/2018