C'è infatti uno spirito generale da ballata seventies ("Time"), un sound da Chicago di notte ("After The Moon"), con la fantasia che si invola su quel piccolo assolo elettrico Rundgren-iano, quel piccolo frinire di tastiera, che raccontano di una nuova vitalità espressiva della band. Questa sa anche mettere in secondo piano il fatto che, dal punto di vista della scrittura, i brani di "In Mind" siano generalmente meno incisivi che in "Days", tra passaggi melodici già conosciuti (la pur bella "Holding Pattern") e ostentazioni di capziosità ("Same Sun").
Ma ci sono anche riuscite divagazioni di genere, come lo psych-country di "Two Arrows" e "Diamond Eyes", e riusciti accenni di arrangiamento, come la finta intro di pianoforte di "Saturday" e il synth retrowave di "Darling", forse opera di Lynch, instancabile sfrucugliatore musicale. Bello anche l'arrangiamento Paisley di "Stained Glass".
Insomma, nonostante sia difficile trovare un hook vero e proprio, dentro "In Mind", quando questi abbondavano in "Days", si tratta dell'unica mossa possibile quando la vena melodica comincia a esaurirsi: anche a rischio della brandizzazione della propria musica, puntare tutto sul lato stilistico ed espressivo. Nessuno potrà rimproverare alla vecchia trattoria di fiducia di aver voluto ristrutturare il locale, no? Ci si torna lo stesso, anche se i piatti, pur impiattati meglio, non sono più quelli di una volta.
(22/03/2017)