Steve Adey

Do Me A Kindness

2017 (Grand Harmonium)
slow-core, alt-folk

Nove cover version e un adattamento di uno scritto di Herman Hesse sono la materia prima di quello che doveva essere un interludio in formato ridotto tra il vecchio e il nuovo album di Steve Adey, e di fatto poi si è trasformato in un progetto più vasto.
Il musicista scozzese ha inciso quasi in completa solitudine le dieci tracce all’interno di una chiesa di Edinburgo del Diciannovesimo secolo, aggiungendo poi alcuni contributi vocali e strumentali di altri musicisti e amici.
Il tono glaciale, solenne e oscuro del complesso slow-core del ragazzo di Birmingham non cede il passo, invero l’altrui materia organica, pur non perdendo la propria identità lirica, diventa altro nelle mani del musicista, spesso prosciugata di quella residua emotività alla quale Steve ha sempre preferito il silenzio.

Ed è sicuramente blasfema e poco accattivante la metamorfosi che subisce il brano di Morrissey “Everyday Is Like Sunday”, qui addomesticata a liturgia spirituale e quasi ipnotica, ma per i non cultori delle cover version la trasfigurazione di questa e altre pagine intoccabili sono solo un territorio lirico dove Steve Adey mette a punto la sua struggente poetica del dolore, della solitudine e della morte.
Tocca poi a Bob Dylan e alla sua “I Want You” subire l’ennesima scarnificazione sonora, con un’oltraggiosa rilettura che sembra cantata e arrangiata da un Leonard Cohen in stato di alterazione alcolica permanente, con quel maldestro suono elettronico che sfibra la poetica e la riduce a un’innocua pop song.

Il timbro etereo eppur baritonale della voce di Steve Adey è visibilmente più a suo agio nella tetra e intensa “The Devil” di PJ Harvey, allo stesso modo primeggia quando con poche note di piano e percussioni in lieve sottofondo reinventa la splendida “To Cry About” di Mary Margaret O’Hara. Non è altresì facile accarezzare le atmosfere di “God Is In The House” di Nick Cave, ma il suono dell’harmonium offre ad Adey un piccolo aiuto, anticipando le più riuscite e intelligenti riletture di “Do Me A Kindness”.
La prima è “Over” dei Portishead, dove il musicista scozzese sconfina nel gotico con intonazioni spettrali e glaciali che sottolineano tutte le sfumature poetiche del testo. Parimenti ispirata la struggente e oscura “Murdered“ dei Low, che aumenta la tensione emotiva dell’album, prima che la poesia di Herman Hesse, musicata dallo stesso Adey con un delicato intreccio di violino, tamburo e voci (“How Heavy the Days”), e le minimali trame country di “River Guard” di Smog chiudano il sipario su un disco che difficilmente troverà spazio nei consuntivi di fine anno.

Tuttavia quella breve citazione di “Sense Of Doubt” di David Bowie posta alla fine dell’introduttiva “The Unsigned Painting” di Rickie Lee Jones lascia perplessi e stupiti, forse il vero scopo di Steve Adey non era quello di consolarci con romantiche e malinconiche certezze, ma quello di insinuare il dubbio, quella strana sensazione che ad esempio, dopo averti fatto accantonare “Do Me A Kindness”, ti spinge a riconsiderare il senso dell’arte, facendotene apprezzare il lato più cupo e meno confortevole, lo stesso che è a tratti rintracciabile in questo dolente album.

11/11/2017

Tracklist

  1. The Unsigned Painting/Sense of Doubt 
  2. The Devil 
  3. Everyday Is Like Sunday 
  4. To Cry About 
  5. God Is In The House 
  6. I Want You 
  7. Over 
  8. Murderer
  9. How Heavy The Days 
  10. River Guard


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