Amici sin da piccoletti, Elizabeth Stokes (voce e chitarra), Jonathan Pearce (chitarra), Benjamin Sinclair (basso) e Ivan Luketina-Johnston hanno studiato insieme jazz all’università di Auckland. Ed è proprio il jazz quello che i quattro intendevano suonare quando iniziarono a esibirsi nella prima di numerose configurazioni. Provarono anche altri generi, ma è soltanto quando si soffermarono sui suoni che più avevano infestato i loro ascolti giovanili, il rock indipendente degli anni 90 – le Breeders su tutto il resto - e l’immortale pop dei 60, che tutto quadrò e nacquero i Beths.
Tutto era già chiaro già con l’Ep “Warm Blood” di due anni fa, del quale peraltro “Future Me Hates Me” conserva il singolone “Whatever”, i Beths hanno un talento innato per scrivere appiccicose canzoni power-pop, rotonde e chiare nei ritornelli quanto pronte a scaricare la tensione adolescenziale del quartetto in fugaci scorribande soniche – il finale di “Happy Unhappy” è una gran bella botta chitarristica. La passione della band per gli anni 60 emerge invece dal frequente uso di armonizzazioni e coretti, ai quali partecipano in egual misura tutti i membri della band, neanche fossero dei novelli Beach Boys. Da questo punto di vista si va da interventi suggestivi e atmosferici come quelli sul finale di “River Run: Lvl 1” ad altri più sciocchini e divertenti, come in “Whatever”.
La padrona di casa è senz’altro Elizabeth Stokes, la cui voce si muove con facilità tra gli arrangiamenti scintillanti cambiando sovente registro. “Happy Unhappy” ha le strofe srotolate con indolenza come piacerebbe a Courtney Barnett ad esempio, mentre la svenevolezza di “Less Than Thou” e “Little Death” avrebbe potuto commentare alla grande qualche scena topica di “Dawson’s Creek”. Non sono comunque da sottovalutare gli altri membri della band, che – probabilmente grazie agli studi jazz - riescono ad arricchire una materia musicalmente semplice come il power-pop di stacchi e mutazioni ritmiche che conferiscono alle canzoni di “Future Me Hates Me” grande dinamica.
Il titolo e la divertente copertina del disco richiamano il topos secondo il quale dopo la crescita si finisce con l’odiare quel che si era da giovani. Ma, data la bontà e la facilità di assimilazione di queste dieci freschissime canzoni, viene difficile pensare che la cosa potrà riguardare i Beths.
23/08/2018