Eiko Ishibashi

The Dream My Bones Dream

2018 (Felicity/Drag City)
ambient, ambient-jazz, chamber-pop

Il complicato rapporto tra presente e passato, le ripercussioni della storia, l'impatto della memoria sulla contemporaneità e sulla percezione del mondo circostante: è su questi temi, dalla natura complessa e spigolosa, che la formidabile Eiko Ishibashi, ormai a pieno titolo tra le più stimate autrici e compositrici giapponesi contemporanee, incentra il suo settimo album solista, dettato da esigenze narrative del tutto peculiari. Desiderosa di riscoprire la storia della sua famiglia a seguito della morte del padre, nel processo la musicista indaga il periodo trascorso da quest'ultimo nella Manciuria occupata dai Giapponesi, nonché il ruolo che ha avuto suo nonno in uno dei capitoli più tristi della storia del Sol Levante. Incrociando testimonianze indirette e documenti, l'autrice ricostruisce un importante tassello familiare sepolto nelle sabbie della memoria, utilizzandolo come molla per dare alla luce il suo nuovo album, seguito dello straordinario “Car And Freezer”.

Proprio rispetto al suo opus magnum, punto d'arrivo di un intero percorso di ricerca e sperimentazione, “The Dream My Bones Dream” si pone in aperta discussione con il suo diretto predecessore, strutturandosi come breve poemetto che tiene fede alla sua peculiare natura concettuale, pur nel mantenimento di un raffinato linguaggio autoriale, che qui semplicemente viaggia su un diverso tipo di binari. Chi insomma da questo nuovo lavoro ricerca la complessa levità del formato-canzone proposto con il precedente “doppio” resterà pressoché a bocca asciutta, dacché è del tutto diversa la finalità con cui si propone quella che a tutti gli effetti è una colonna sonora, seppur per ricordi mai effettivamente vissuti.
Tale però è l'intensità del trasporto e del potere narrativo, che non si tarderebbe a scommettere sul fatto che sia stata proprio Eiko Ishibashi a trascorrere l'infanzia in Manciuria, e non suo padre. Con un parco stilistico che in un certo senso riassume tutte le tendenze della sua arte (jazz, pop, elementi prog e sperimentazione ad ampio spettro), virato però nella direzione preferenziale di strumentali dal taglio ambientale, la musicista sviluppa un ciclo di brani dal grande carattere figurativo e di smagliante forza emotiva, nel quale la personalità del resoconto e la spigliatezza della rielaborazione ne preservano tutto il fascino atmosferico.

Attraverso un prologo dalle fattezze post-rock, che col suo uso sparso della voce e degli ottoni non esita a richiamare le migliori pagine dei Talk Talk e dei Dif Juz, Ishibashi introduce la propria versione della sua storia familiare, con tutta la dissonanza e i saliscendi cromatici del caso. Nessuno sconto, insomma, nessuna facile concessione, anche quando la musica prende strade più lineari e vispe dal punto di vista ritmico. Sfruttando simbologie e riferimenti più o meno evidenti, coordinati in un processo espositivo il più possibile coerente, l'autrice (anche stavolta sostenuta in co-produzione e nel mixing da Jim O' Rourke) circoscrive con accuratezza l'avvicendarsi delle vicissitudini di padre e nonno, in una sofisticata alchimia che raccoglie significato e significante in un unico abbraccio.
Si possono quindi visualizzare lunghe traversate in treno, con la voce a soffermarsi, priva di ogni coinvolgimento, sui nomi delle città percorse (la zompettante “Iron Veil”, col suo delicato drumming a simulare l'andamento regolare e cadenzato di un treno in corsa), momenti di panico e incertezza (“Tunnels To Nowhere”, col gioco di sintetizzatori e archi a tracciare un crescendo tensiogeno e sfibrante), lontani echi militari, a ricordare la natura dell'occupazione in Manciuria (il tono a marcetta di “A Ghost In A Train, Thinking”, tra i momenti di maggiore densità melodica del lotto).
L'immaginazione della musicista ci porta nel mezzo dell'azione, dotandoci di pochi strumenti, più che sufficienti però per collocare e figurarsi, alla propria maniera, un intero pezzo di storia giapponese.

Solide dinamiche jazz, sottese a flebili ricami vocali e inattese progressioni strumentali (i peculiari intrichi di batteria di “Agloe”), piccoli turbini emotivi, al confine con la ballata cameristica (il fantasma di David Sylvian che aleggia sopra la title track), delicatezze sperimentali, ancora una volta tracciate da binari ritmici sui generis (“To The East”): si completa così il quadro di una visione artistica ancora una volta ricca ed elaborata, che non raggiunge la pienezza di intenti di sue prove precedenti, ma che introduce un nuovo capitolo nella sua lunga carriera. Narratrice e fantasista, capace di raccontare e alludere senza emettere giudizi definitivi, con questo suo ultimo album, probabilmente il più divisivo di tutti, Eiko Ishibashi consolida un percorso di rara consistenza, anche ritraendosi dietro il sipario di un simile concept. Classe assoluta.

05/01/2019

Tracklist

  1. Prologue: Hands On The Mouth
  2. Agloe
  3. Iron Veil
  4. Silent Scrapbook
  5. A Ghost In A Train, Thinking
  6. The Dream My Bones Dream
  7. Tunnels To Nowhere
  8. To The East
  9. Epilogue: Innisfree




Eiko Ishibashi sul web