Janelle Monáe

Dirty Computer

2018 (Atlantic)
r'n'b, soul, electro-funky

Superfluo sottolineare quanto fosse atteso questo disco. Cinque anni sono tanti, soprattutto quando sei la diva più talentuosa della black music e spunti dappertutto, sia come attrice in prima linea di pellicole hollywoodiane - vedi l'acclamato film di Theodore Melfi uscito nel 2016, "Il diritto di contare" -, sia come compositrice di colonne sonore per prestigiose serie Netflix quale "The Get Down"; il tutto senza dimenticare la stretta vicinanza al rimpianto Prince. Già, perché Janelle è stata de facto l'ultima musicista ad aver collaborato intensamente con il folletto di Minneapolis prima della sua improvvisa dipartita.
"Dirty Computer" nasce dunque segnato da un immane carico di aspettative. E la reginetta venuta dal Kansas - dapprima di stanza a New York e poi ad Atlanta - ha fatto ancora una volta le cose per bene, chiamando a sé pochi ospiti ma a dir poco buoni, e focalizzando tutta la sua attenzione verso una produzione meticolosa, perfetta in ogni sua singola sfumatura, e alla quale funge da volano un approccio per l'occasione poco orientato alle atmosfere orchestrali in scia musical dei due album precedenti.

Tuttavia, la Monáe non rinuncia al concept, all'opera partorita seguendo una filosofia ben definita. Stavolta, la metafora è avvincente, tematicamente inserita nell'epoca odierna. Janelle idealizza l'umano come una sorta di Personal Computer, con i suoi bug, i suoi virus e quei difetti propri delle macchine, riducendo infine tali imperfezioni a mere opportunità. Quindi orienta il messaggio a 360°, abbracciando queer, minoranze, donne povere e chi più ne ha, più ne metta. Il disagio sociale è platealmente esorcizzato mediante una raffica di esternazioni poste tra una strofa e l'altra. La sontuosa e brevissima open track in compagnia del Maestro Brian Wilson pone le basi di quelli che saranno mediamente gli umori del disco. Un'atmosfera lunare, con tanto di coretto da tappeto, e parole ispirate alla sopracitata allegoria introducono la successiva "Crazy, Classic, Life". Un brano, quest'ultimo, ispirato dalle parole della celebre scrittrice Mary Beard nel suo libro "Women & Power"; in particolar modo, la riflessione mirata sulla vera libertà e sul diritto di sbagliare, almeno occasionalmente, delle donne; le quali, non sempre vengono perdonate, al contrario dei maschi. Il ritmo con i kick in loop in perfetta tendenza "trap" e un certo trionfalismo precedono un refrain a suo volta morbido e appiccicoso. Una linearità e una serenità che traspaiono al meglio in diverse tracce, mentre le consuete bollicine funky forniscono una carica frizzantina, dal voltaggio minore, ma che non rinuncia a bassi esplosivi alla stregua di un Thundercat ("Take A Byte"), o per essere ancora più precisi alla Prince, visto che tante idee provengono proprio dall'amplesso artistico con Nelson, come dichiarato dalla stessa Janelle in diverse interviste.

Le chitarrine ammiccanti di "Screwed", in compagnia della figlia di Lenny Kravitz, Zoë, incarnano a loro volta l'energico apripista di un brano pop laccatissimo eppure virtuosissimo. Ben altro mood caratterizza invece la successiva "Dirty Jane", secondo singolo di lancio dell'album; una canzone sofferta, spinta dal sacrosanto sdegno per la condizione in cui versano ancora oggi molte donne di colore, posto da perno centrale di un pezzo essenzialmente rap, legato qui e là da archi e beat possenti.
L'altra ospitata al femminile con Grimes è al contrario il momento più debole, con un motivetto in strofa che ricorda troppo quello della sempreverde hit mondiale "Girls Just Want To Have Fun", canzone scritta da Robert Hazard nel 1979 e riadattata nella sua versione più famosa da Cyndi Lauper. Meno intenso rispetto ad altri pezzi del lotto è anche il primo singolo "Make Me Feel", bombetta pop simpatica ma fin troppo princeana. Decisamente meglio risulta la collaborazione in salsetta esotica con il buon Pharrell Williams, una piccola scarica adrenalinica che riporta a certe frustrate ritmiche di M.I.A.. Di ben altra luce gode la morbidissima ballad "I Like That", munita di r'n'b liquido e fresco quanto basta per conficcarsi in testa e allietare ad ogni ascolto.

"Dirty Computer" alterna passaggi di puro candore pop ad altri improvvisamente più impegnati in coda, come il magnetismo soul che solleva dolcemente la suadente ballad "Stevie's Dream". Una piccola grande chicca che anticipa la trionfale "Americans", prodotta da Nate "Rocket" Wonder con una buona dose di semplicità, alla stregua di un Moroder in uscita libera nel bel mezzo degli anni 80.
Al netto di qualche episodio vagamente stucchevole, "Dirty Computer" è un album riuscito, distante dalle magniloquenze dei suoi predecessori, eppure vario, brioso e dannatamente pop nella giusta misura. Un'opera a sé stante, e anche un vero e proprio progetto cinematografico, ambientato in un futuro imprecisato, in cui tutti sono dei computer e la Monáe indossa i panni della protagonista Janelle 57821.
Insomma, un'operazione totalizzante, grazie alla quale la musicista americana dimostra di essere a pieno titolo la reginetta della black music odierna. E non ce ne vogliano le altrettanto validissime Solange e FKA Twigs, distanti l'una dall'altra e parimenti contraddistinte da un approccio talvolta più "sperimentale", a suo modo localizzato, in netto contrasto con la maggiore pluralità pop-funky della Monáe.

27/04/2018

Tracklist

  1. Dirty Computer (feat. Brian Wilson)
  2. Crazy, Classic, Life
  3. Take a Byte
  4. Jane's Dream
  5. Screwed (feat. Zoë Kravitz]
  6. Django Jane
  7. PYNK (feat. Grimes)
  8. Make Me Feel
  9. I Got the Juice (feat. Pharrell Williams)
  10. I Like That
  11. Stevie's Dream
  12. Don't Judge Me
  13. So Afraid
  14. Americans