Jasmine Guffond

Degradation Loops

2018 (Karlrecords)
ambient, field recordings, digital-noise

Trenta minuti, trenta secondi. Il tempo di prendersi per mano, di trascinarsi in un entusiasmo dirompente, di lasciarsi andare e di abbandonarsi, con noise in frantumi, in un vortice ossessivo e circolare, tonante e melodico, come nei canti di quel cigno che si chiamava Yellow Swans. Il tutto immerso in una semplicità compositiva sbalorditiva.

Nulla di già sentito, si dirà. Nulla di nuovo. Sì, vero. La coda finale non sorprende gli avvezzi a certi suoni, né d’altronde la modalità d’azione dei primi venti minuti, abbastanza orecchiabili. Ma il mulinello d’azione che si riverbera, tra rivoli di field recordings, ambient digitale, microsuoni granulosi, è dirompente nella sua semplicità, nel suo climax di incastri.
Si prende il volo, in un'attesa smasmodica che qualcosa accada, tra rintocchi che profumano di new age in versione 3.0, echi heckeriani, musica sacra (non così distante dalla gigantesca Kara-Lis Coverdale). E quel qualcosa accade, in questi loop di 4 minuti l’uno, che si affastellano gli uni sugli altri, in una progressione di nervosissimi campionamenti di violini. Un qualcosa che non ha un centro nevralgico, ma che vive del suo stesso cammino incessante.

Che vi rimandi al minimalismo, che vi rimandi a Riley o ad altri totem, poco importa. Questo perché “Degradation Loops” è un qualcosa di piccolo, e si rivolge a chi ascolta in maniera quasi ossequiosa del suo essere una magnifica sinfonia di un già sentito. In fondo dell’inquadramento storico di un album così costruito interessa zero, vuoi per la portata egotica, ansiogena e necessaria dell’opera, vuoi per il suo essere annichilente, tumultuoso, feroce e romantico.

Che tanto, senza particolare spoiler, come si concluda un qualcosa che trasuda sturm und drang da ogni poro già lo sappiamo. Alla fine, il collasso.

14/11/2018

Tracklist

  1. Degradation Loops

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