Purtroppo, “Moon Dogs” è un disco destinato all’oblio dei media e delle pagine di Rym; un vero peccato, perché il nuovo album della musicista di Copenaghen è a pieno titolo uno dei più intensi della stagione. Coloro che hanno assaporato le misture di elettronica e sperimentazione del progetto Antenne (a breve il quarto album) non resteranno sorpresi per l’abilità dell’artista nel tenere salda la tensione in questo universo sonoro sintetico e oscuro, nello stesso tempo amabile e crudele, grazie a melodie che creano movimento in un paradigma musicale apparentemente statico. Quella di Marie-Louise Munck è una musica fatta di accordi prolungati simili a un sogno, di architetture silenti e ipnotiche e quasi silenziose, di dettagli armonici che aprono squarci poetici in un tappeto sonoro oscuro e tremolante, il tutto graziato da una voce ai confini del recitato e poi incredibilmente comunicativa e romantica, come accade nei sette minuti della title track.
E’ la forza della parola e della voce il fulcro creativo della proposta, ed è proprio per esaltare la struggente poesia delle liriche, che gli arrangiamenti sono così fragili eppur potenti nella loro essenzialità. In “Moon Dogs” dramma e sobrietà emotiva vanno di pari passo, come quando in “My Paper-Thin Wife” Marie-Louise Munck, alla maniera di una novella Nico, scandisce i tempi con toni funebri e dolenti, aggiungendo suoni stridenti di violino e dettagli noise che rendono ancor più straziante l’esortazione della cantante: "Perché non mi hai aspettato?". Anche quando uno spiraglio di luce e un cantato più modulato sembrano intrufolarsi tra le note di “The Mystery Inside”, la melodia resta più simile a un bisbiglio che a un grido di dolore, amabilmente scortata nel finale da un tenebroso e affascinante suono di ottoni. Singolare anche l’uso dei ritmi, che l’eccelso Kresten Osgood tiene costantemente in background (in verità assenti nell’introduttiva “Crowbar”), contribuendo in maniera significativa al mood teatrale di “Moon Dogs”.
Esemplare in questo senso l’arrangiamento di “Let The Light In”, che sui toni ossessivi e cupi della batteria fa scivolare il refrain più arioso e accattivante dell’album, nonostante il tema della morte resti costantemente tra le righe dei testi, mettendo infine in scena l’esegesi più profonda della musica dell’artista danese, perennemente in cerca di un linguaggio lieve e delicato con il quale affrontare tragedie e sofferenze. In questa sinergia creativa, che alterna sonorità oscure ad atmosfere quasi eteree, si staglia fiera e solenne la ballata più vicina alle tipiche atmosfere del folk nordico, ovvero quella “Dead Calm Ocean” che ha anticipato la pubblicazione dell’album, svelando istantaneamente l’intenso fluido poetico e malinconico della cantautrice danese.
Non è un album facile, il nuovo disco di Marie-Louise Munck, la musica è costantemente in cerca di una catarsi emotiva non sempre facile da assaporare fino in fondo, ma l’intensità di questi 38 minuti non ha molti eguali nel panorama moderno. “Moon Dogs” è infine l’anello mancante tra due incontrovertibili gemme di questo 2018, ovvero “Dead Magic” di Anna Von Hausswolff e “Minus“ di Daniel Blumberg; è un album da amare con cura, un dono prezioso da custodire per quando i primi freddi scacceranno via le illusorie promesse della bella stagione, e avremo tutti bisogno di qualcosa con cui confortare la nostra anima.
(22/06/2018)