Nonostante trent’anni di carriera alle spalle, i piacentini Misfatto sono sempre rimasti saldamente ancorati al circuito underground, senza mai riuscire a raggiungere quel livello di notorietà che avrebbero meritato, in virtù del cospicuo materiale pubblicato. “L’uomo dalle 12 dita” è la degna continuazione di un’avventura che Gabriele Finotti (tuttora chitarra e principale autore) e Alessandro Chiesa iniziarono nel 1987 e che portò dieci anni più tardi all’esordio “La fine del giorno”. Fautori di un rock tendente al classic, i Misfatto sfoderano gli artigli in “Io e il tempo” e “Oltre il mare”, arrivando a sfiorare il metal nella conclusiva title track.
Ma sanno anche cullare l’ascoltatore con morbide ballad, come “Le 10 lune” e “Inverno 99”, che sul finale regala un solo sontuoso, e risultare clamorosamente efficaci in “Apapaia”, anche se in questo caso giocano sul velluto rivedendo un evergreen dei Litfiba storici.
Suoni curati, a volte sin troppo rifiniti, studiata alternanza fra voce maschile (Alberto Zucconi) e femminile (Melody Castellari), completano la line-up Andrea Farinelli alla batteria, Simone Cavallaro al basso e Marco Cusenza alle chitarre. Hanno partecipato alla realizzazione del disco anche Dargen D’Amico, voce in “Ossessione Baudelaire” e Gabriele Schiavi, emozionante violino in un paio di sortite.
20/03/2018