Dev'essere stato strano, per Michael Milosh e Robin Hannibal, notare come il loro estemporaneo progetto laterale Rhye sia presto diventato la cosa più acclamata mai singolarmente realizzata (il primo proviene da una glitch-elettronica da laptop, il secondo da una sorta di synth-folk-pop scandinavo). Del resto, "Woman" si presentava con una compiutezza da rodati professionisti, e il suo culto sotterraneo - perfettamente incapsulato da un immaginario parco ed elegante - è finito col durare nel tempo molto più rispetto a tanti altri ben più popolari indie darlings.
Ma fa ancor più strano oggi scoprire che, dietro la calma apparente di questo silenzioso duo, le cose non siano affatto andate per il meglio. Hannibal non ha mai potuto prendere parte al lato concertistico in quanto legato contrattualmente all'etichetta del suo progetto originario Quadron, e alla lunga ha dovuto staccare del tutto la spina all'avventura dei Rhye. Dietro a "Blood", oggi, rimane il solo Milosh - il quale dal canto suo, oltre a essersi fatto un tour in giro per il mondo aiutato da soli turnisti, nel frattempo ha visto sgretolarsi il matrimonio con la propria compagna, che era poi quella woman che aveva ispirato la nascita del progetto alle origini. Insomma, ce n'era abbastanza per staccare la spina all'intera operazione, no?
E invece Milosh è riuscito nell'impresa di insabbiare a meraviglia tutti i drammi della vita, e far sì che in superficie "Blood" scorra con la stessa classe del suo predecessore, quasi non volesse turbare quel senso di pace e amore che gli aveva fatto guadagnare un inaspettato pubblico. Sulle prime, infatti, si respira un'aria di assoluta restaurazione: lampanti similitudini tra le foto di copertina e minutaggio sempre conciso. C'è persino stato un momento di nostalgia per l'era del supporto fisico quando il placido singolo di lancio "Please" è arrivato accompagnato da una squisita B-side come "Summer Days" (pezzo graziato pure da un bel remix a cura di Roosevelt).
La sussurrata "Softly" e il pulsante basso di "Taste" sono altri chiari richiami al passato, scorrono con l'intensa calma con la quale un vecchio amico ti racconterebbe delle sue ultime disavventure, seduto di fronte a un bicchiere di vino. E la voce di Milosh rimane ovviamente il cardine dell'intero disco, con i suoi androgini coretti di ovatta e le sue interpretazioni eteree e impalpabili riconoscibili tra mille (vedasi la sua recente partecipazione su "Break Apart" di Bonobo).
Ma con l'andare attento degli ascolti presto iniziano ad affiorare quelle piccole novità che fanno di "Blood" un gradito secondo capitolo. Suonando dal vivo, per esempio, Milosh ha presto scoperto il potere di un buon impasto acustico e il modo più naturale possibile per legarlo alla parte elettronica. Così, le scarne partiture nu-r&b che facevano capolino sul disco di debutto oggi sono state soppiantate da un'impalcatura elettro/acustica sophisti-pop di gran classe - vedasi soprattutto l'iniziale "Waste", con una bella base ritmica accentuata dal più delicato dei gated reverb e una partitura di violini che colorano con enfasi l'andare del pezzo senza mai calzare troppo la mano.
La conclusiva "Sinful" mostra un arrangiamento in aria chamber-pop, anche se nel condimento non mancano sia una limpida chitarra acustica che alcuni rumorini spaziali posti strategicamente verso il finale. E le chitarre oggi fanno capolino un po' ovunque ancor più che in passato; ci sono quelle portate avanti dal ticchettìo di un metronomo di "Song For You", che richiamano alla mente i Kings Of Convenience, e quelle elettriche di "Phoenix" che giocano a fare da contrappunto ai delicati battiti disco-funk del ritmo.
"Count To Five" si candida come il pezzo più movimentato mai prodotto dal marchio Rhye, un momento di contrasto giocato tra una robusta base ritmica e dei brevi momenti dove le tastiere sembrano quasi lievitare. Il più memorabile momento di tensione emotiva arriva però con la meravigliosa "Blood Knows": voce raddoppiata e calzata sui bassi per sottolineare i momenti più salienti del testo, il polverìo delle chitarre che fluttuano nell'aria creando un lacrimevole tessuto armonico e un ritmo tenuto al passo ma che avanza con fare quasi marziale - un pezzo comunque delicato e "alla Rhye," ma che all'interno di un disco come "Blood" dispensa inediti sentimenti di rabbia repressa e rassegnazione. Su tale onda si colloca pure la seguente "Stay Safe", dove è la nostalgia a prendere il sopravvento tramite una melodia che sembra uscita dagli anni 70.
Tutto è cambiato, e niente è cambiato. Così l'ormai solista progetto Rhye affronta la difficoltosa prova seconda, rimanendo fedele a sé stesso ma rivelando comunque tra le pieghe del tessuto nuove piccole rivoluzioni sonore. Certo, se questo dovesse essere l'andazzo per gli anni a venire, la magia potrebbe eventualmente iniziare ad affievolirsi, ma per tutti quegli ascoltatori rimasti sedotti ai tempi di "Woman", il neonato "Blood" conferma con certezza che in casa Rhye le cose si affrontano ancora con calma e onestà, la porta è sempre aperta e una visitina ogni tanto è capace di rincuorare l'animo più affannato.
06/02/2018