Quel terzetto che fu non esiste più, e della formazione originale degli 808 State sono rimasti imperterriti i soli Graham Massey e Andrew Barker, esponenti di punta di quella generazione da (s)ballo che raggiunse una certa notorietà nel breve periodo che va dal 1988 al 1991, anno di “Ex:el”: probabilmente, il loro capolavoro e manifesto programmatico. Già, perché quel mattacchione di Darren Partington all’inizio del 2015 è riuscito a farsi arrestare con l’accusa di spaccio di sostanze proibite quali l’eroina e il crack. Risultato? Un anno e mezzo di condanna e una carriera che al momento pare essersi spenta definitivamente. Ma con un nome così pesante per l’evoluzione della musica elettronica in tutti i suoi principali reparti, era lecito prima o dopo aspettarsi un ritorno.
Ebbene, il momento è arrivato, e a distanza di ben 17 anni, il duo di Manchester è riuscito a confezionare un nuovo lavoro dal titolo “Transmission Suite”. Resisi conto di essere stati ancor più decisivi di quanto critica e del pubblico sono soliti considerarli, gli 808 State con questo nuovo lavoro hanno mirato a un’elaborazione enciclopedica del loro sapere elettronico, ma non per questo “manieristica”. La tela creativa, infatti, impone ancora slanci interessanti e fruibili anche per un pubblico poco avvezzo al genere e alle numerose contaminazioni qui presenti.
Da veri auteur della house e della techno, i Nostri accettano febbrili metronomie notturne e sotterranee, godendosi autenticamente l’unicità di un suono evolutosi verso nuove frontiere digitali e post-club, intrecciando abilmente pennellate electro, ambient e Idm, sebbene il motore primo dei nuovi brani suoni indiscutibilmente acid-house.
L’iniziale singolo “Tokyo, Tokyo” sostiene questa tesi, mentre la successiva “Skylon” riprende i vezzi breakbeat di “Outpost Transmission”, diramandoli in un’estetica galleggiante e briosa. “The Ludwig Question” mima le tendenze deconstructed-club dell’ultimo decennio, ibernando campionamenti e piatti svolazzanti. Più classica nelle intenzioni è “Huronic”, una sorta di “Cubik” dal cuore gentile e poco avvezzo ai diluvi sonici dell’epopea rave. Più deboli suonano invece i rifacimenti etno-funk di “Ujala” e le pantomine a 16 bit di “Trinity”.
Un discorso a parte merita “13:13” con i suoi kick da battaglia e i suoi arzigogolati stop and go da museo delle cere glitch-pop. Abbandonate definitivamente le suggestioni jazz-rock ed esotiche del passato, “Transmission Suite” abbraccia componenti di suoni sicuramente più industriali e robotici, ma non per questo privi di stimolanti suggestioni.
Rimane forse un po’ l’amaro in bocca per qualche episodio decisamente sottotono (“Crab Crawl”) e per qualche filler di troppo (“Bushy Bushy”, “Pulcenta”). Dopotutto, il tempo passa anche sul dancefloor.
24/10/2019