Bob Mould

Sunshine Rock

2019 (Merge)
indie-rock, songwriter, punk-pop

Ritorna Bob Mould, al tredicesimo album solista, con una delle prove più convincenti del periodo power-trio sotto Merge Records, inaugurato con “Silver Age” (Merge, 2012). Ad accompagnarlo ancora una volta è la solida sezione ritmica di Jason Narducy al basso e Jon Wurster alla batteria, attivi rispettivamente con Verbow e Superchunk. Come ogni album di Mould, anche “Sunshine Rock” riflette le sue vicende personali attraverso la foga dei riff di chitarra, dal suono inconfondibile, e l’intimismo che caratterizza i suoi testi fin dagli esordi con gli Hüsker Dü. Si leggono in controluce i temi che fanno parte della sua vita: le difficoltà nelle relazioni, l’affermazione della propria omosessualità, la paziente lotta contro gli acufeni, la depressione, le perdite e il lutto, per il padre così come per l’ex-compagno di gruppo Grant Hart, con il quale per anni aveva avuto un rapporto non conciliato.

Ciò che conduce il disco sono gli episodi più originali della maturità artistica di Mould: “Sunshine Rock”, tributo d’amore al rock anni Sessanta, e “The Final Years”, in cui archi, pianoforte e cori interrompono la furia della scaletta allo stesso modo di quelle parentesi strumentali, come “One Step At A Time”, che squarciavano e dilatavano improvvisamente “Zen Arcade” (SST, 1984) traducendo la smania e la concitazione in necessità. A cambiare stavolta è la forma, adesso completa e compiuta.
Funzionano invece come un orologio il midtempo di “Sin King”, il groove ballabile di “Lost Faith” e il suono abrasivo di “Send Me A Postcard” (cover degli Shocking Blue), insieme agli echi degli Hüsker Dü e degli Sugar più alternative rock (“What Do You Want Me To Do”, “Thirty Dozen Roses”, “Irrational Poison”, “I Fought”).

In “Sunshine Rock” Mould sembra aver trovato la quadratura del cerchio tra cosa ha sempre amato (New York Dolls, Beatles, Byrds), chi è stato (Hüsker Dü, Sugar) e chi è oggi. L’album cresce ascolto dopo ascolto e lascia storditi dal flusso di suoni sonici, dalle reminiscenze e dalla determinazione di esserci qui e ora, suonando e scrivendo ancora. Mould sfida con successo, più di chiunque altro, il significato della parola “invecchiare” nella musica punk e indie (ageing, come definisce in modo appropriato la lingua inglese), anche attraverso le prove più azzardate del suo percorso (“Modulate”, Granary Music, 2002), o i live insieme a chi gli ha tributato una “paternità artistica”, come Dave Grohl.

Con questo disco Mould esprime pienamente quella nostalgia positiva e fattiva, incessante motore del presente e di una vita salvata dalle canzoni e dai concerti. Sopravvive all’hardcore, alle dipendenze, all’underground, al mainstream, al coming out sui mass media, all’omofobia, agli anelli restituiti e alle città lasciate alle spalle, per raccontarci il suo vitalismo e la voglia di rock, di condivisione, di tramonti, di caffè e di toast.

Wish this camp was home
It’s time to be a man on my own
It’s grown-up time, there is no rhyme
Or reason for games we play
People get together, people fall apart
People do the best they can
We can't predict the future, you can't forget the past
Just enjoy the moments we have.
(“Camp Sunshine”)

13/02/2019

Tracklist

  1. Sunshine Rock 
  2. What Do You Want Me To Do 
  3. Sunny Love Song 
  4. Thirty Dozen Roses
  5. The Final Years
  6. Irrational Poison 
  7. I Fought 
  8. Sin King
  9. Lost Faith 
  10. Camp Sunshine
  11. Send Me A Postcard 
  12. Western Sunset

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