Darkness

Proprio quando i Darkness non vanno ormai più di moda, né sono in grado di raggiungere il clamore pre-scioglimento, messi da parte i dischi di platino di “Permission To Land” (un milione e mezzo di copie vendute nel solo Regno Unito, oltre tre milioni in tutto il mondo), ecco che tirano fuori un disco assolutamente rispettabile, grazie al mestiere e al raziocinio di chi sente di non aver più nulla da dimostrare. Otto mesi per scrivere il successore di “Pinewood Smile” (2017), dieci tracce in quello che da loro stessi viene presentato come un concept sulla teoria dei multiuniversi.

Sempre fra il serio e il faceto, Justin Hawkins e soci giocano a fare gli impegnati, ma sono i primi a smorzare i toni, tanto per non prendersi mai troppo sul serio, fra urletti in falsetto e svisate in perfetto stile Queen/Muse. Irriverenti sin dalla copertina, i Darkness si confermano band divertente (“How Can I Lose Your Love”), consolidando l’ormai rodata miscela focalizzata su un coloratissimo glam sempre pronto ad accogliere derive hard-rock (qui ne sono una buona sintesi “Choke On It” e la title track, ma i riffoni sono un po’ ovunque), in grado di produrre ancora potenti hit da stadio (“Live ‘Til I Die”) ma anche momenti acusticamente suggestivi (“Deck Chair”).

I due fratelli Hawkins – voce e chitarra - restano il perno dei Darkness, che oggi intendono svincolarsi dalle carnevalate kitsch di un tempo per divenire una rock band dallo stampo classic, sempre un filino sopra le righe, certo, ma senza più le esagerazioni che li contraddistinsero agli esordi. In chiusura arriva un’affermazione che resta comunque una dichiarazione d’intenti, “We Are The Guitar Men”, e a seguire, nella deluxe edition, quattro tracce bonus che, con leggerezza, non spostano granché il giudizio finale su un lavoro tutto sommato riuscito, anche per chi li aveva inizialmente discussi, forse per invidia nei confronti del grande successo riscosso.

07/10/2019