Con un esordio alle spalle reso interessante più dalle premesse che dai pur dignitosi risultati, Lina Tullgren affronta la prova del nove, confermandosi autrice in costante bilico tra grinta e caos. “Free Cell” è un altro diamante grezzo: la scrittura più solida e meno legata all’improvvisazione e l’ambientazione sonora più rifinita, merito anche degli arrangiamenti di Simon Hanes (membro dei Tredici Bacci, formazione newyorkese ispirata a Ennio Morricone), creano una piacevole catarsi emotiva, non priva di momenti di autentica estasi.
Resta comunque enigmatico e non sempre decifrabile il mondo della Tullgren (“Nervous Yet”), un po’ come le complicazioni del gioco free cell che ha ispirato il titolo dell’album.
E’ stato difficile per l’artista mettere a punto gli arrangiamenti senza l’aiuto del fido Ty Ueda, ma il suono meno spigoloso e più raffinato elaborato dal bravo Simon Hanes permette ad alcune tracce di godere di quell'autonomia a volte negata alle più frammentarie composizioni dell’esordio.
L’alieno e sbilenco synth-pop di “Golden Babyland”, il vellutato noise-rock alla Sonic Youth di “110717”, il chamber-pop a tinte noir di “Bad At Parties” e lo spettrale e minimale dialogo tra voce e violini della title track sono un segno evidente di una crescita artistica che potrebbe stupire ancora di più in futuro.
Quel che ancora manca alla Tullgren è la capacità di gestire le pagine più indolenti e intime con quell’energia e quell’asperità necessarie per trascinare fuori dalla prevedibilità le pur piacevoli ballate, le quali, dopo l’ultimo colpo di coda armonico “Saiddone”, piombano nell’autocompiacimento e nella routine (“Soft Glove 1”, “Wow, Lucky”), pur mostrando a volte interessanti accenni strumentali (“Glowing X10000”).
“Free Cell” non risolve tutti i dubbi che hanno accompagnato l’esordio di Lina Tullgren, ma mette in luce un’evoluzione stilistica che merita attenzione e rispetto.
09/12/2019