Livio Cori

MONTECALVARIO (Core senza paura)

2019 (Sugarmusic)
alt-r&b, trap [edm], synth-pop

Inutile girarci troppo intorno: l’edizione di Sanremo appena trascorsa è stata la più significativa degli ultimi quindici anni e forse più. Senz’altro quella più incentrata, sia nelle infinite discussioni del post-evento, sia nell’impostazione stessa della rassegna, sull’elemento teoricamente fulcro della manifestazione, ma che troppo spesso è stato trascurato in favore del chiacchiericcio di costume: le canzoni in gara. Al bando la modestia, prendetemi come termometro del successo di questa edizione: io, musicofilo incallito ma giovane, mai mi sono realmente appassionato a Sanremo, e mi son sempre dovuto sforzare per individuare anche solo una canzone sufficiente ad edizione. Tutt’a un tratto mi ritrovo di fronte a una rassegna in cui ben quattro brani mi convincono senza riserve! (Per i curiosi, faccio i nomi: Mahmood, Achille Lauro, Daniele Silvestri e, ovviamente, Livio Cori).

Superato lo "shock", non resta che fare i complimenti a chi è riuscito ad organizzare una manifestazione così eclettica nelle proposte, ovvero a un Claudio Baglioni estremamente lucido e abile nell’intercettare gli umori musicali della penisola e a tradurli in una rassegna una volta tanto non alienata dal contesto musicale italiano. In fondo alla classifica finale, ecco l’artista più outsider, pure in un contesto composito qual è stato Sanremo 2019: il misterioso Livio Cori, da una Napoli tornata centro nevralgico della rinascita della canzone pop italiana. La scelta di presentarsi con il veterano Nino D’Angelo è stata un’arma a doppio taglio: era senz’altro difficile per un ragazzo con un curriculum scarno come quello di Cori balzare subito a Sanremo senza un appoggio di peso, d’altro canto l’enfasi da cartolina che ha sempre contraddistinto il pur simpatico Nino è ormai irrimediabilmente legata a un’epoca e a un costume a cui - a torto o a ragione - si guarda per lo più con ironia da scherno.
Tuttavia è veramente un peccato che la loro “Un’altra luce” rischi di finire nel dimenticatoio: si tratta infatti della via più delicata che la ballata italiana possa intraprendere nell’epoca della trap. Cantata con autotune leggero e vagamente soul nella linea di Cori, in contrasto con quella più tradizionale ma non stucchevole di Nino D’Angelo, la canzone gioca in maniera magistrale con la malinconia di un dialogo tra due uomini di generazioni distanti, intenti a specchiarsi e confondersi l’uno nelle espressioni e nei modi dell’altro. Le tastiere soffuse, liquide, i ricami di chitarra elettrica che s’insinuano nel mixing e la commistione ritmica in bilico tra suggestioni mediterranee e trap vanno a comporre il grande gioiello nascosto della sessantanovesima edizione di Sanremo.

Se è vero che l’ultimo biennio di risveglio della musica italiana è riuscito a regalare diversi singoli di pregevole fattura, raramente tali promesse sono state mantenute sul formato album. Invece è proprio su questo punto che “MONTECALVARIO (core senza paura)” riesce a fare centro, dimostrando una costanza qualitativa notevole e una cifra estetica unitaria, pur nell’eclettismo dei diversi generi affrontati.
Il suono potente e tenebroso della migliore trap apre le danze con “Via dei mille”, musicalmente molto abile nel gestire svariate timbriche (campionamenti vocali, chitarre elettriche, carillon, fiati sintetici) e decisiva quanto discreta nella scansione ritmica a metà tra l’ormai tipico incedere dimezzato della 808 di marca trap dance e la cassa house dei pre-chorus. Il testo è furbescamente catchy nell’ammiccare senza pudore all’oggettificazione dei rapporti e della vita contemporanea, ergendo con un certo fatalismo i beni di consumo a unici status symbol autentici del nostro tempo e delle nostre relazioni.

La vaga somiglianza con il divo di Hollywood Ryan Gosling spinge Livio Cori a emulare l’iconica figura dell’autista silenzioso di "Drive" di Nicolas Winding Refn nell’evocativa copertina del disco, e guarda caso ecco comparire il synth-pop epico e magniloquente di Kavinsky nell'esatico tripudio tastieristico di “Due minuti”. Numeri come la dolce ballad sintetica “Adda passà” e la title track sfoggiano un fiuto melodico cristallino, impensabile per la maggior parte degli autori italiani attuali. La seconda, in particolare, si ritaglia un posto tutto suo nella scaletta per come riesce a fondere l’alternative r&b con un ritornello a pieni polmoni, sorretto da un onirico tappeto di archi sintetici, in una combinazione che ricorda le aperture dei migliori White Lies, immaginandoli intenti a suonare con tempo dimezzato rispetto ai loro standard.

“Amore e guapperia” è Napoli che batte un colpo al Bruno Mars di “24k Magic” e già che c’è passa pure al club a bere qualcosa con i Daft Punk di "Discovery". Battute a parte, una canzone del genere semplicemente in Italia non si è mai sentita, e mi piace pensare a come avrebbe potuto reagire Pino Daniele, ascoltando tale meraviglia synth-funk, naturale aggiornamento dei suoi iconici album tra fine anni Settanta e primi Ottanta.
Il grande capolavoro di “MONTECALVARIO" si trova però a fine viaggio: gorgo nero come la pece, "Surdat" è puro trip-hop digitale; il suo riff di basso sintetico costante e sinistro sembra essere il motore delle notti camorriste che tanto hanno fatto la fortuna dell’ultimo decennio letterario, cinematografico e televisivo italiano, grazie alla saga di "Gomorra" (per la cui serie tv non a caso questo pezzo è colonna sonora). Su tappeti di pad da scura trance anni 90, la voce tossica evoca desiderio di ribellione e libertà. Se in Italia si può trovare qualcosa che si avvicini agli spettri esistenziali del The Weeknd di “Trilogy”, lo si può rintracciare in questa canzone.

Pur con qualche scivolone (su tutte il reggaeton godereccio e completamente fuori contesto di “A casa mia”) e un generale abuso innecessario di autotune, Livio Cori si dimostra talento maturo e a fuoco, degno esponente del filone di "trap neomelodica" esploso con il fenomeno Liberato. Non per caso si è parlato di Cori come della voce dietro all'incappucciato cantante, ma questa ipotesi pare improbabile, in quanto il ventinovenne rappresenta piuttosto un prosecutore del discorso di Liberato, in una chiave sicuramente meno arty ma non per questo meno peculiare e inedita rispetto al panorama nazionale.

01/03/2019

Tracklist

  1. Via dei mille
  2. Un’altra luce (Livio Cori e Nino D’Angelo)
  3. Ammore e guapparia
  4. Core senza paura
  5. Due minuti
  6. Adda passà
  7. A capa a fa bene
  8. Nu juorno a vota
  9. A casa mia
  10. Nennè
  11. Surdat


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